Camomilla Pd
Le primarie di domenica 3 marzo, il confronto in tv su Sky e una domanda: ma non era meglio il candidato unico?
Roma. L’alleanza con i Cinque stelle non la vuole far nessuno; né Roberto Giachetti, né Nicola Zingaretti, né Maurizio Martina. Tutti lavorano perché il numero dei votanti alle primarie “sia molto alto” (Giachetti), e “sarete stupiti tutti dalla partecipazione” (Martina), quindi “dobbiamo lottare per arrivare almeno a un milione di persone” (Zingaretti).
Alla fine del dibattito fra i candidati alla segreteria del Pd, andato in onda su Sky oggi (28 febbraio ndr) alle ore 13, in tempo per desinare, e poi in replica alle otto e mezzo, non si capisce in che cosa differiscano i tre aspiranti segretari e perché il simpatizzante elettore del Pd dovrebbe scegliere uno piuttosto che l’altro. Gli ultrà probabilmente avranno già preso la loro decisione, ma gli altri? Gli indecisi a tutto? “Questo governo non ce la fa, manca un’alternativa”, garantisce Zingaretti, che le primarie potrebbe pure vincerle. Domanda in studio: teme imboscate qualora non riuscisse ad arrivare al 50 per cento dei consensi nei gazebo e quindi, statuto alla mano, il Pd fosse costretto a scegliere il segretario con ballottaggio in assemblea? “Imboscate non ne temo mai”, dice il presidente della Regione Lazio, che cerca invece “un confronto nei contenuti”.
Sicché: no all’alleanza con i Cinque stelle, garantisce Martina, che crede ancora al discorso di Walter Veltroni del Lingotto, perché pur essendo cambiate le condizioni quel “grande discorso” rimane attuale: “Pensarsi maggioritari anche in questo tempo è decisivo”. Zingaretti va oltre: non serve un’alleanza con i partiti, men che meno con i Cinque stelle e con “la destra” ma “con le persone. Dobbiamo smettere di illuderci che si possa costruire il nuovo rimettendo insieme i cocci del passato, scambiarci i leader come figurine”. Un popolo di centrosinistra “c’è ma è frammentato”. Serve un centrosinistra “nuovo e unito”. Con il civismo “nuovo protagonista” di questa stagione. Giachetti, che è burbanzoso per indole, dice subito che non rivuole l’Unione, quella con i ministri che al pomeriggio criticavano in piazza quello che al mattino avevano approvato in consiglio dei ministri.
A un certo punto, non si sfugge, arriva la domanda su Matteo Renzi. D’altronde è il convitato di pietra del congresso. Quanto vi manca, è la domanda in studio, il senatore Renzi? Zingaretti: “Io ho un ottimo rapporto, non l’ho mai votato ma quando ha fatto il segretario l’ho sempre rispettato”. Dunque “mi auguro che non ci manchi, nel senso che il Pd che voglio è un partito pluralista, aperto, con luoghi di confronto, con idee che si confrontano, con decisioni che prendiamo insieme”. Insomma abbiamo bisogno di “tutte e tutti”, dice Zingaretti, perché il problema in questo paese è l’altro Matteo, Salvini. Giachetti, da sempre lealista renziano – forse questa è la cosa che si nota di più del dibattito (l’accento sulla diversa gradazione di renzismo dei candidati) – aggiunge: “A me Matteo Renzi non manca perché ringraziando iddio Matteo Renzi c’è, è un’arma di punta della nostra opposizione, ieri (mercoledì 27 febbraio, ndr) ha fatto un intervento bellissimo al Senato. Non mi manca perché io sono assolutamente leale con quel progetto che abbiamo messo in piedi 5 anni fa e che ha fatto molto bene all’Italia”. Martina, invece, dice che la questione non è quanto manca Renzi al Pd o a Martina stesso, ma “quanto manchiamo noi a Renzi. Anche lui vive la sfida di costruire un’alternativa a questa destra pericolosa. Non possiamo organizzare il nostro dibattito nell’ossessione di definirci renziani o anti-renziani. Basta. Io voglio i democratici”.
Si parla di Renzi, non si può quindi non parlare dell’arresto dei genitori. Dunque: la giustizia a orologeria esiste o no? Giachetti è duro: “Io penso che la giustizia in questo paese sia malata, lo penso da 30 anni”. Martina elenca: “Massimo rispetto per la situazione umana; grande rispetto della giustizia; principi saldi di garantismo per tutti; ricerca di un equilibrio nuovo nell’efficienza della giustizia in questo paese”. Zingaretti, invece, non crede al complotto, non crede alla “giustizia a orologeria”. Epperò, “le persone vanno difese dalla lapidazione mediatica e culturale a cui vengono sottoposte quando ricevono un’accusa. Un’accusa non è una condanna”.
Provocazioni sull’immigrazione vengono rivolte da Giachetti a Zingaretti, che è sostenuto anche dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti: “L’emergenza – ha detto Giachetti – l’abbiamo avuta in questo paese e l’abbiamo gestita grazie al lavoro di Marco Minniti che io difendo. Mi domando come fa a stare in una mozione in cui c’è qualcuno che diceva che quel lavoro praticamente era schiavismo”. Zingaretti sorride. C’è poi la questione del reddito di cittadinanza, che come gli ottanta euro di Renzi rischia di diventare qualcosa che difficilmente potrà essere abolito dai successori, perché diventa complicato di questi tempi andare dalla gente e spiegare, una volta che le hai messo i soldi in tasca, perché adesso glieli togli. Poco importa che il provvedimento di abolizione, nel caso, sarebbe di un governo di seme politico diverso. E infatti i candidati parlano soprattutto di modifiche da fare e dicono che “il Rei era migliore” (Zingaretti). Questo casomai rischia di essere un “reddito di sudditanza” (sempre Zingaretti). La parola d’ordine è insomma “rafforzare il reddito di inclusione” (Martina), sul quale Giachetti metterebbe “tre miliardi”. Il modo giusto, dicono i candidati alla segreteria del Pd, per combattere disuguaglianza e povertà. Alla fine, viene il dubbio, non era meglio il candidato unico?