Giuseppe Conte (foto LaPresse)

L'Italia dice vaffa alla fiducia

Claudio Cerasa

Consumi, Borsa, banche, investimenti. La Commissione e l’Istat ci ricordano che il dramma del Cambiamento è la sua predisposizione naturale a rendere l’Italia ogni giorno meno affidabile. Perché un paese che perde la fiducia è un paese fottuto

I preoccupanti dati pubblicati ieri dall’Istat sul “sentiment” dei consumatori e delle imprese italiane e le previsioni cupe diffuse dalla Commissione europea sul futuro della nostra economia ci ricordano, con la forza di una sberla, che il grande tema da mettere a fuoco in Italia non ha a che fare con la possibilità che dopo le europee vi sia una crisi di fiducia nella maggioranza del cambiamento, ma ha a che fare con la possibilità sempre più concreta che la maggioranza resti coesa nonostante la crisi di fiducia creata in poco meno di un anno all’interno del nostro paese.

 

L’Istat che fotografa “un ampio calo” dell’indice di fiducia dei consumatori e una “evidente flessione” dell’indice che riguarda la salute delle imprese (il minimo dal 2014) e la Commissione europea che segnala il rischio che la vulnerabilità economica dell’Italia possa diventare una minaccia per la stabilità dell’Europa (“L’elevato livello del debito è una potenziale fonte di ricadute negative per la zona euro”) sono due facce simmetriche di un problema segnalato per ben quattro volte nelle 99 pagine del Country Report della Commissione. In inglese si scrive “confidence”, in italiano si dice fiducia e per quanto ci si possa girare attorno la vera eccezionalità dell’Italia rispetto al resto dell’Europa è legata a una catastrofe di cui il governo non sembra avere contezza: la sua predisposizione naturale a rendere l’Italia un paese ogni giorno meno credibile. Parlare dell’Italia che ha oggi un grave problema di credibilità e di affidabilità non è un argomento sulfureo legato in modo astratto all’impressionabilità generica dei campioni del cambiamento. E’ qualcosa di più. E’ qualcosa legato ad alcuni dati che messi in fila iniziano a far paura.

 

Lo ha detto ieri in modo chiaro la Commissione, prevedendo che la ripresa degli investimenti privati rallenterà considerevolmente nel 2019 a causa della maggiore insicurezza delle prospettive economiche, ricordando che nel nostro paese alcune imprese sono già soggette a un inasprimento delle condizioni di finanziamento a causa del peggioramento delle condizioni del debito sovrano e spiegando senza mezzi termini che la particolarità dell’Italia oggi è proprio questa: a fronte di un possibile e brusco rallentamento dell’Europa, siamo l’unico grande paese dell’Unione ad aver fatto tutto il necessario per essere travolto da una nuova crisi economica. Lo ha fatto il nostro governo, dice la Commissione, cancellando le riforme strutturali, aumentando le tasse, infischiandosene della concorrenza, ignorando il tema della produttività, mettendo in campo politiche non credibili sul tema del risanamento del debito pubblico (“Il rapporto debito pubblico/pil rimane molto alto e i piani di bilancio attuali, insieme all’indebolimento della ripresa e all’aumento dei costi di finanziamento, impediscono che continui a diminuire”).

 

Ed è anche per questo, a causa di una crisi di fiducia che rischia di diventare presto una crisi economica e finanziaria, che l’indice di riferimento della Borsa di Milano ha perso quasi il 20 per cento del suo valore dall’inizio di maggio, che il sottoindice delle banche è sceso di oltre il 37 per cento, a fronte di un calo del 30 nell’area dell’euro, e che il rendimento dei titoli di stato a dieci anni è passato dall’1,8 per cento all’inizio di maggio al 3 per cento di febbraio. E’ anche per questo che tra maggio e novembre 2018 gli investitori non residenti hanno ridotto le loro consistenze in titoli di stato e obbligazioni bancarie in Italia di 77,3 miliardi e di 16 miliardi. E’ anche per questo, a causa dell’aumento dei premi per il rischio sui titoli di stato, che in Italia il costo della raccolta obbligazionaria del settore privato è aumentato, con i rendimenti delle obbligazioni che sono quasi raddoppiati, al 2,4 per cento contro un aumento medio di 0,3 punti nel complesso dell’area euro. E’ anche per questo che nel 2018 la raccolta netta del risparmio gestito è stata di circa 10 miliardi contro i 97 miliardi del 2017, cosa che si verifica quando il risparmio si sposta improvvisamente verso investimenti non a rischio, e che nel 2019, come segnalato qualche giorno fa dal Censis, il 70,5 per cento degli italiani pensa che nei prossimi dodici mesi non potrà aumentare i consumi.

 

L’Italia si trova dunque di fronte a una gigantesca crisi di fiducia che piuttosto che combattere in tutti i modi possibili, whatever it takes, il governo sembra voler alimentare ogni giorno di più. Senza rendersi conto che l’incertezza della politica interna, e un premio sempre più elevato per il rischio sovrano, come ha ricordato a inizio febbraio al Forex il governatore della Banca d’Italia in un intervento che meriterebbe di essere volantinato in tutte le stanze del governo, incide negativamente sulla fiducia delle imprese, sull’economia reale, aggrava lo squilibrio dei conti pubblici, pregiudica la capacità della politica di bilancio di sostenere l’economia, comprime le risorse per gli investimenti, incide negativamente sui risparmi accumulati dalle famiglie, determina perdite per gli investitori, per le assicurazioni, per i fondi pensione, per le banche e crea occasioni per rendere l’accesso al credito sempre più complicato. In nove mesi di governo, la principale novità introdotta dal governo del cambiamento è stata quella di aver tagliato non i ponti con il passato ma i pilastri della fiducia. E’ un paese senza fiducia, come ha provato a dire il ministro Giovanni Tria ricordando che la Tav va fatta perché serve e perché è un test sulla credibilità del governo, non è solo un paese in difficoltà: è un paese fottuto. Sarà un anno bellissimo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.