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Toninelli, fatti più in là

Valerio Valentini

Sulla Tav il M5s ha un capro espiatorio: sacrificare il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ora, per non perdere il ministero dopo

Roma. Detto in maniera brutale, il ragionamento suona grosso modo così: per salvare il ministero, bisogna sacrificare il ministro. E il ministro, nella fattispecie, è quello che sin dall’inizio del suo incarico è rimasto perennemente in bilico, sull’orlo precario della capitolazione nonostante i disperati tentativi di sostenerlo. Lunedì prossimo il cda di Telt, la società italofrancese responsabile della realizzazione della Tav, darà avvio ai bandi per la selezione delle imprese cui assegnare i lavori per l’alta velocità; e prima di quella data ormai nessuno, nel M5s, confida che salti fuori una exit strategy, una soluzione che possa, se non annullarlo, quantomeno ridurre l’impatto di quello che apparirà come un tradimento conclamato. E allora, non vedendo alternative migliori, c’è chi, nel cerchio ristretto del gigio magico, prova a consigliare a Luigi Di Maio una strategia estrema: pretendere le dimissioni immediate di Danilo Toninelli subito dopo l’annuncio del via libera ai bandi. “Lui cosa ha fatto, concretamente, per evitare che si arrivasse a questo punto?”, contestavano ieri a Toninelli, in un accesso di nervosismo, i suoi colleghi di governo del M5s. “Se siamo arrivati a questo punto, la colpa è sua: non ha mai mai proposto una alternativa”, insistevano, senza specificare poi quale questa alternativa potesse essere, visto che l’unica tra quelle seriamente valutate dai vertici del M5s – il potenziamento della linea storica, che si arrampica fino ai 1300 del traforo del Frejus, inaugurato nel 1871 e tutt’ora interdetto al transito dei tir su rotaia – è stata già bocciata dai tecnici di Palazzo Chigi.

 

E così, proprio mentre Di Maio, tutto intento a vendere come miracolistico il modesto fondo per l’innovazione, ieri mattina alle Ogr di Torino cercava di sottrarsi a qualsiasi domanda sulla Tav, tra i suoi fedelissimi ci si prefigurava la seguente scena: il ministro dei Trasporti che, all’indomani del cda di Telt, si assume la piena responsabilità del fallimento, si carica la croce sulla schiena e toglie il disturbo. “Del resto – malignano nel M5s – prima o dopo le europee, per Danilo, che differenza fa?”. Per il M5s, invece, i due scenari sarebbero radicalmente diversi. Se all’avvicendamento si arrivasse nel contesto del rimpasto di governo che seguirà al voto del 26 maggio, sarebbe inevitabile che a prendere il posto di Toninelli fosse un uomo fidato di Matteo Salvini. Una verità perfino scontata, e non da oggi, a giudicare dal tono ultimativo con cui, già a inizio febbraio, il deputato veneto Alvise Maniero rispondeva agli attivisti della sua regione che si lamentavano per l’eccessivo impegno richiesto ai militanti sul territorio: “Se la Lega ci straccia alle europee e si prende il Mit gli alberi li piantiamo nel cemento”, scriveva in una chat interna l’ex sindaco di Mira. Ed è per questo che, non potendo scongiurare il ribaltamento degli equilibri che scaturirà dalle urne di fine maggio, una soluzione appare ora quella di anticipare i tempi: “Perché se fossimo noi a promuovere un cambio della guardia a Porta Pia potremmo pretendere che a sostituire Danilo vada uno dei nostri”.

 

Il dilemma, semmai, è individuare appunto il possibile rimpiazzo. Un nome che è già circolato, nelle scorse settimane, è quello di Laura Castelli, la plenipotenziaria dei conti del M5s che, anche per le sue origini torinesi, è da sempre la più impegnata sul dossier della Torino-Lione. Sconterebbe, certo, quei suoi trascorsi da militante valsusina, quella sua bandiera “No Tav” orgogliosamente esposta nel suo ufficio da semplice deputata nella scorsa legislatura. E tuttavia è stata spesso la sottosegretaria all’Economia a incontrare i vertici di Telt, nei mesi scorsi, e sempre a lei è stato demandato il ruolo ingrato di gestire i rapporti coi comitati ambientalisti della Valsusa. Poi, sempre ammesso che non sia Michele Dell’Orco, attuale sottosegretario al Mit, a rivendicare una promozione, l’altro nome che, un po’ sottovoce, si pronuncia tra i parlamentari del M5s, quando si va in cerca di un papabile sostituto di Toninelli, è quello di Stefano Buffagni, sottosegretario agli Affari regionali ma da tempo impegnato sulle partite che riguardano le nomine delle grandi e piccole partecipate di stato: un compito che gli ha permesso di affinare le sue relazioni con molti di quegli ambienti che sono interlocutori inevitabili per un ministro dei Trasporti. Ieri Buffagni è stato l’unico uomo di governo del M5s a violare il diktat del silenzio imposto da Di Maio sulla Tav. “Io – ha detto il commercialista milanese – rimango delle mie idee: si tratta di un progetto obsoleto che si può superare facendo altre cose, utilizzando quello che già esiste investendo quei soldi su progetti che possono servire”. Come a dire, insomma, che se i bandi verranno lanciati, questo avverrà “not in my name”. E anche questa, in fondo, potrà essere un merito da far valere, da lunedì prossimo.

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