Il partito della regione
Le idee economiche del segretario del Pd spiegate con le scelte fatte da governatore (e qualche sorpresa)
Non è un’impresa da poco riuscire a vincere per la seconda volta un’elezione regionale, contromano rispetto alle tendenze elettorali dell’epoca (sia pure di strettissima misura e tenendo insieme la maggioranza in consiglio grazie a qualche opportuna astensione in zona ex grillina) e poi riuscire a vincere un congresso di partito e le successive consultazioni allargate nei gazebo e nelle altre sedi di voto, con un punto di partenza che ha qualcosa di Mario Monti (per i conti da fare con lo spread o meglio con gli alti tassi sul debito) e qualcosa di Piercarlo Padoan (per l’obbligo di avviare le politiche espansive lungo un sentiero reso stretto e impervio dagli impegni di bilancio) e il tutto shakerato con un passato da comunista romano. Insomma, per Nicola Zingaretti le carte sul tavolo, partendo dalla svolta che ha dato alla sua carriera politica a ridosso della riconferma alla guida della regione (quando partì veramente la sua corsa alla segreteria del Pd), non erano per niente favorevoli. Perché evocare Monti? Beh, Zingaretti, durante il suo primo mandato, ha portato il Lazio fuori dal commissariamento della Sanità regionale, che è un risultato eccezionale, ma di scarsa visibilità politica. Un’impresa, davvero, ma che difficilmente premia chi la realizza. Un dato, spiccatamente à la Monti, indica che la regione doveva far fronte ogni anno a un miliardo di costi per interessi sul suo debito pregresso dovuto quasi interamente alla spesa sanitaria, mentre, per capirci, la Lombardia doveva pagare interessi per 80 milioni.
Non serve essere rettori della Bocconi per capire che di certo non si poteva andare avanti ad accumulare debito e che non si poteva abbandonare alla deriva il servizio sanitario nella regione, ma è anche evidente quanto fosse ingrato e terribile il compito che si è trovato davanti e che razza di contrasti sociali poteva generare. Un problema, certo. Ma anche un’approssimazione dei vincoli micidiali in cui si muove la politica economica nazionale, e perciò anche una grande scuola di politica italiana contemporanea. C’è la questione finanziaria, per di più ereditata (ah, i governi precedenti…) e c’è, appunto, il sentiero stretto su cui avviarsi, se, oltre a Monti, si vuole essere anche qualcuno dei suoi successori, e quindi tentare anche, tra le ristrettezze, di favorire crescita e sviluppo. La soluzione scelta forse ha a che fare con la formazione politica di Zingaretti, ma non può prescindere dal suo tratto umano personale, perché è stata centrata sul dialogo, il confronto, il parlare leale. Il mondo produttivo del Lazio ha apprezzato.
Dicono di lui (gli imprenditori)
Un rapido sondaggio tra imprenditori e nelle rappresentanze delle imprese ci ha portato a un voto in pagella intorno al sei e mezzo. Che ha il pregio di suonare veritiero, perché l’entusiasmo sarebbe suonato falso e fuori luogo, nella regione dove si paga un’Irap pesantissima proprio per recuperare sul fronte sanitario, e dove, per la stessa ragione, le addizionali alle tasse sul reddito sono eccezionalmente salate. Ma tutti capiscono da dove parta questa esosità fiscale, rispetto alla quale, comunque, la regione a guida Zingaretti ha cominciato a dare qualche sollievo, e il segnale è stato apprezzato. Ma il più importante riconoscimento a Zingaretti per le realizzazioni economiche in regione non riguarda i numeri, ma qualcosa di più impalpabile e per nulla misurabile, e cioè la capacità di scegliere le persone. Chi ha a che fare con la regione (il vero ente economico, a dispetto del peso di immagine di un comune e di una città metropolitana come Roma) sa che Zingaretti si è affidato per i conti ad Alessandra Sartore, alla quale viene da tutti riconosciuta una eccezionale capacità di gestione del bilancio regionale e la più profonda conoscenza di regole e norme. “Sarebbe un ministro perfetto”, si sbilancia un imprenditore romano. E gli attestati di stima arrivano anche dal mondo sindacale. Con il quale si è confrontato, nella gestione delle crisi, Gian Paolo Manzella, l’altro assessore centrale per la zinganomics, anche lui frutto della capacità di intuito personale di Zingaretti. Manzella è il macinatore di chilometri su e giù per il Lazio, che ha incontrato e visitato e soprattutto ascoltato chi aveva qualcosa da dire o da chiedere alla regione, o aveva esperienze mutuabili, in pressoché tutti i luoghi in cui si fa impresa nel Lazio.
La capacità di valutare i problemi e stabilire le priorità e quella di scegliere i collaboratori da sole basterebbero; l’economia, le migliori scelte di politica economica, poi si imparano. Basta stare un po’ a sentire. E allora dovrebbero essere rapidamente superati certi scivoloni come il no al Ceta (per difendere il pecorino romano, poi…) o qualche imprecisione sul ruolo della Bce. Lo attesta la prima uscita pubblica di Zingaretti, lontano dal Lazio, nel cantiere della tratta ferroviaria Torino-Lione. Il punto in cui oggi si distingue chi vuole restare collegato all’Europa e allo sviluppo da chi vuole l’isolamento e il declino. La scelta sembra chiara.
Equilibri istituzionali