L'altra velocità: soldi alla Napoli-Bari in cambio della “mini” Torino-Lione
Risparmiare sulla Tav e dirottare i fondi sulla Napoli-Bari. L’offerta leghista che il M5s prova a rifiutare
Roma. Alessandro Morelli compare in Transatlantico a ora di pranzo, quando il vertice sulla Tav di Palazzo Chigi è appena terminato. “Per l’alta velocità è una bellissima giornata”, dice il presidente della commissione Trasporti, uno dei fedelissimi di Matteo Salvini e tra i meglio informati sui temi che riguardano le infrastrutture. “Una splendida giornata”, ripete. E solo per la Valsusa? “No, anche per la Napoli-Bari”, sorride sornione. E in un attimo, le indiscrezioni sulla proposta che il Carroccio ha offerto al M5s per salvare a entrambi la faccia e non far venire giù il governo, prendono un’altra consistenza.
Il compromesso, insomma, prevede di adottare la versione “low cost” della Tav, quella che nella neolingua grilloleghista è stata definita “mini”, quella che esclude (per ora) la realizzazione della variante tra Avigliana e Bussoleno, a ovest di Torino, e la costruzione della stazione di Susa, e dirottare il miliardo e mezzo che grosso modo si risparmierebbe sul potenziamento delle infrastrutture al sud. E, in particolare, sull’accelerazione dei lavori dell’alta velocità tra Napoli e Bari. Una soluzione forse un po’ rabberciata, ma che pure permetterebbe a Luigi Di Maio di calmierare, con l’anestetico dei fondi finalmente destinati anche al suo meridione, la rabbia che scaturirebbe dall’abiura sulla Torino-Lione. “E’ chiaro – ragiona, davanti al bancone della buvette Carlo Sibilia, grillino di Avellino – che al sud si pone sempre una questione di equa ripartizione delle risorse, quando si parla di Tav”. E sembra insomma quasi un’apertura, se non fosse che poi lo stesso sottosegretario all’Interno scuote la testa, come a rimuginarci su: “Ma è pur vero che è difficile cedere su un punto come la Tav: Beppe è finito perfino nei guai con la giustizia, per avere manifestato al fianco degli attivisti della Valsusa”. Si ferma, riflette ancora. “Hai presente il Tap?”, chiede poi. “Ecco, immagina il Tap moltiplicato per dieci, per cento”.
Ed ecco allora che la splendida giornata sull’alta velocità forse appare tale più che altro ai leghisti: e forse neanche a tutti, se è vero che a pochi metri da Morelli, Riccardo Molinari, il capogruppo alla Camera, riunisce il gotha della Lega piemontese, di cui lui è segretario, e tra una battuta sul futuro della Rai e una sulle elezioni regionali di maggio, sfoga tutto il nervosismo accumulato in ore di trattative coi grillini in una laconica premonizione: “Qua, sulla Tav, rischia davvero di crollare tutto”. Poi si stacca dal manipolo dei suoi fedelissimi e imbocca il corridoio dei fumatori. “Al M5s abbiamo prospettato una possibile opzione, ma nei prossimi giorni seguiranno incontri tecnici. Stiamo lavorando”, spiega, senza volere scendere nei particolari. “Il pallino in mano ce l’ha Conte, e farà una sintesi”. Quello che è certo, però, è che il No irremovibile non è tra le ipotesi contemplate dal Carroccio: “D’altronde anche il premier ha appena detto che non si farà condizionare da pregiudizi ideologici”, taglia corto Molinari, e fila via. L’altro capogruppo, intanto, quello del M5s, esterna il suo scetticismo sulla proposta della Lega. “Abbiamo dovuto rivedere alcune nostre posizioni su altre opere – argomenta Francesco D’Uva – perché stare al governo impone spesso di anteporre la realpolitik alla coerenza. Ma sulla Tav, obiettivamente, per noi sarebbe ingestibile. Dovreste chiedere a Laura, è lei che ne sa più di tutti”, si schermisce poi, ammiccando alla Castelli che in quel momento gli passa accanto. “Un compromesso? L’unico possibile è quello che contempla il potenziamento della linea storica”, dice il sottosegretario all’Economia, in prima linea sul dossier della Tav.
Anche su questa ipotesi rifletterà Giuseppe Conte, che però è già stato avvisato da alcuni suoi consiglieri di Palazzo Chigi che investire nell’ammodernamento di una infrastruttura che si arrampica fino ai 1.330 metri del tunnel del Frejus, scavato nel 1870 e tuttora interdetto al transito dei tir su rotaia, non sarebbe una scelta opportuna. Quello che è certo, comunque, è che lunedì prossimo i bandi di gara per la selezione delle imprese a cui affidare i lavori della Torino-Lione partiranno. Possibilità concrete di bloccarli non ce ne sono, visto che sui tecnici dei ministeri incombe, peraltro, anche lo spauracchio del possibile danno erariale: la decurtazione di 300 milioni da parte della Commissione europea – come ha ricordato ai membri del governo il capo di gabinetto di Tria, Luigi Carbone, nei giorni scorsi – scatterebbe inevitabile, se entro marzo non venissero fatti partire i bandi. “E’ una semplice indagine di mercato che durerà sei mesi, e i contratti potranno essere revocati in qualsiasi momento”, ripetono i ministri del M5s. Ma è chiaro a tutti che, una volta lanciati, i bandi difficilmente verrebbero sospesi. E’ chiaro anche ai consiglieri comunali del M5s a Torino: che infatti, da lunedì prossimo, sono pronti a privare Chiara Appendino della sua maggioranza in Sala Rossa, in un atto di protesta autolesionista contro i vertici di un partito da cui si sentono traditi.
Equilibri istituzionali