Rimosse le critiche all'euro in commissione Bilancio. Borghi cede alla Castelli
Il consigliere no euro di Salvini ha corretto il parere sulla partecipazione dell’Italia all’Ue. Le pressioni della sottosegretaria del M5s
Roma. Sarà che governare piace sempre, e che i privilegi che il potere garantisce fanno ingoiare anche le concessioni che qualche tempo sarebbero state definite inaccettabili. Sarà per questo, insomma, se alla fine Claudio Borghi, il consigliere economico di Matteo Salvini e alfiere anti euro, ha accettato di correggere, depurandolo di molti accenti euroscettici, il parere che la commissione Bilancio della Camera da lui presieduta era chiamata a esprimere sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per il 2019.
Un atto formale, nel rispetto di una legge approvata nel 2012 per impegnare il governo a indicare ogni anno le priorità sulle politiche europee da adottare col supporto del Parlamento. Ebbene, la commissione Bilancio ieri ha espresso parere favorevole, pur con l’aggiunta di una “condizione”, e cioè che “siano adottate in tutte le sedi istituzionali dell’Ue iniziative volte a sospendere, ove possibile, ogni determinazione conclusiva” sui trattati e le riforma in discussione a Bruxelles “nell’attesa degli esiti delle prossime consultazioni per l’elezione del Parlamento europeo”. Postilla bizzarra che, se presa alla lettera, di fatto imporrebbe al governo Conte di restare inerte, e limitarsi semmai al mero ostruzionismo, su tutti i tavoli europei da qui a maggio, sperando in un “cambiamento del quadro politico” a Bruxelles che la stessa commissione Bilancio definisce solo “possibile”.
E però, più che questo tentativo di ribadire l’adesione all’Ue ma con juicio, a sorprendere sono le molte smussature che il parere firmato da Borghi presenta rispetto alla posizione originariamente espressa dalla Lega. Era il 26 febbraio, quando Giuseppe Bellachioma, capogruppo del Carroccio in commissione Bilancio, si lanciava in un durissimo attacco alle istituzioni europee e ai vari trattati comunitari. Bellachioma esprimeva “la posizione estremamente critica” del suo gruppo “in merito all’unione economica e monetaria”, scagliandosi contro l’istituzione di un ministro europeo dell’Economia e di un Fondo monetario europeo strutturato sulla base del Meccanismo europeo di stabilità. Ebbene, di tutta questa filippica, nel parere licenziato ieri dalla commissione Bilancio resta solo un passaggio in cui si legge che la creazione del ministero unico e del fondo monetario “potrebbe avere un rilevante impatto sulla politica economica di ogni stato membro”.
Quanto al Fiscal compact, poi, Bellachioma riteneva “impossibile accettare che si perpetui lo svilimento della sovranità nazionale, avviato dal governo Monti con la firma del Fiscal compact che ha comportato la modifica dell’articolo 81 della Costituzione”, quello sul pareggio di bilancio. Tutto cassato col benestare di Borghi. Ammorbidito di gran lunga anche il giudizio sull’incorporazione del trattato del Fiscal compact nel diritto dell’Ue, voluto da Bruxelles: una proposta considerata un “errore gravissimo” da Bellachioma, che non nascondeva il proprio “sbigottimento” al riguardo, ricordando peraltro “quali e quanti danni un ‘vincolo esterno’ abbia causato” all’Italia. Cosa resta, di tutto ciò? Solo una generica considerazione sul fatto che queste riforme rappresenterebbero “il rafforzamento di un ‘vincolo esterno’ [...] con effetti potenzialmente restrittivi sull’economia nazionale”. Ridimensionato, infine, anche l’invito al governo a impegnarsi sul fronte che è tra i più cari a Borghi, quello sulla messa in discussione delle funzioni della Banca centrale europea: nel parere approvato ieri dalla commissione Bilancio, dopo una trattativa tra Lega e M5s, si è eliminato qualsiasi riferimento “al ruolo di prestatore di ultima istanza” dell’Eurotower e alla sua “politica dei cambi” (due pallini del ministro Savona).
A cosa sia dovuto questo cedimento di Borghi è difficile stabilirlo con esattezza. Quello che è certo è che Laura Castelli, la sottosegretaria grillina al Mef, parlando alla buvette coi suoi colleghi del M5s mercoledì pomeriggio, raccontava di aver “detto chiaro e tondo a Borghi che quelle considerazioni antieuropeiste contenute nella premessa del parere devono cambiare, altrimenti il governo pone il veto”. Sarà per questo che, anche l’indomito no euro Borghi, si è adeguato.