Civati l'editore
L’ex deputato del Pd oggi pubblica libri e ci spiega perché si sta bene anche lontani dalla politica
Roma. Pippo Civati ha messo la politica attiva da parte, almeno per un po’. Non per sempre. “Non faccio come quelli che abbandonano per poi tornare subito dopo. No a frasi definitive. Prima o poi tornerò”. Ha aperto una casa editrice, People, e segue il centrosinistra da spettatore. A tratti anche divertito. Alle primarie del 2013 prese quasi 400 mila voti, molti di più – per dire – di Maurizio Martina e Roberto Giachetti. Certo, a quelle primarie votarono più persone, circa un milione in più. “Ho visto votare alle primarie del Pd di quest’anno persone più a sinistra del Partito comunista cinese, intellettuali che fanno fatica a votare Leu e che stavolta si sono scatenate, non per ragioni tattiche, ma perché c’è una preoccupazione che attraversa il paese”.
Il timore, dice Civati, è quello che il paese “si perda”. Le primarie “attivano una platea più larga rispetto al partito, che risponde allo stato emotivo del paese. Basti pensare alle primarie di Prodi, che ebbero una partecipazione altissima perché c’era Berlusconi. I numeri però ci dicono che oggi è stato piantato un seme ma non c’è ancora una comunità politica. I numeri sono quelli delle ultime primarie, quando si sapeva che avrebbe vinto Renzi”. Le difficoltà insomma non mancano, anche a stare insieme: “Si parla di lista larga ma per ora la lista larga coincide con il Pd più Giuliano Pisapia. Altre novità non ce ne sono. Non ci sono grandi idee; ci sarà pure un lavoro sottotraccia ma a due mesi dalle Europee magari andrebbe fatto emergere qualcosa, al di là dell’autocritica che tutti chiedono al Pd. Adesso tutti chiedono al Pd come funzionano le cose che però sono di tre anni fa. In realtà servirebbe buttare la palla in avanti, cambiare gioco”. Anche tutto questo interrogarsi sulle “colpe di Renzi”, dice Civati, lascia il tempo che trova. “Non era evidentemente solo colpa di Renzi. E gli altri? Vedo un Franceschini fiammeggiante, ma è lo stesso che ha sostenuto Renzi in tutte le maniere. Gentiloni è l’uomo nuovo? Massimo rispetto, ma non è che si è mai discostato da una lettura politica che tutti attribuiscono a Matteo”. Insomma, dice Civati usando un paragone calcistico, “il secondo tempo dovrebbe essere molto diverso dal primo”. Non è facile. Anche perché si sono perse delle occasioni. “Il congresso del Pd è durato un anno, sembrava il National Geographic che racconta la migrazione degli uccelli. Roba da matti. Nel frattempo Salvini si mangiava i Cinque stelle”.
“Quali sono le novità di Zingaretti?”
Insomma servirebbe unità “ma a furia di parlare di fronti unici arriviamo alle Europee con tre-quattro liste. Non mi pare sia stato fatto un grande lavoro di unità”. Il listone insomma sarebbe meglio di questo caos? “Beh, anziché avere quattro liste… Certo adesso immaginare che stiano in un unico ‘sacco’ proposte politiche che nell’ultimo anno non si sono neanche confrontate la vedo difficile. Io non voglio fare lo spiritoso ma davvero il Pd ha passato l’ultimo anno a parlare di Zingaretti, Martina e Giachetti, persone che io rispetto ma i problemi sono ancora lì”. Ad esempio, si chiede Civati, “dove porta la campagna di Calenda? Ha coinvolto il Pd davvero oppure si candida con la Bonino? Calenda ha fatto un congresso parallelo, e poi? Il tema è quello che dicevo poc’anzi: confrontarsi davvero, non con le cazzate”. Non sono state affrontate le contraddizioni del centrosinistra, dice Civati. “Non ho capito quali sono le novità del Pd in campo economico e sociale. Zingaretti chiude la stagione del renzismo avendo con sé molti protagonisti: Veltroni, Gentiloni, Franceschini. Veltroni dice che adesso vede la luce in fondo al tunnel, ma non è che quando c’era buio lui dicesse cose illuminanti. Ora, io queste cose le ho dette quando erano popolari altri, quindi…”.
Ma Civati cosa vuole fare da grande? Quest’anno ci sono le Europee, appunto. “Non sono uno di quelli che dice ‘mai più politica’. Di solito poi dopo qualche mese te li ritrovi. Mi sono dimesso sperando che si dimettessero tutti, poi invece gli altri sono rimasti al loro posto. Si vede che avevo capito male io che mi faccio prendere dal facile entusiasmo. Non dico quindi che non tornerò mai, intanto ho fatto una cosa seria, aprendo questa società che ha bisogno di crescere. La mia è una condizione disinteressata, non ho bisogno di Bruxelles, non cerco una lista, anche perché non vedo una grande offerta. Me ne sto bene come sto. Anche perché, e lo dico senza toni antipolitici, stare lontani dal parlamento e dal sistema politico fa bene al cervello. Io poi non dico ‘vado in Africa’. Sto a Gallarate”. Il punto è che in politica servono davvero anche interpreti nuovi. “Il caso Leu lo ha dimostrato. Ho sempre cercato timidamente di spiegare che dire ‘dobbiamo cambiare’ vale anche per le persone e i dirigenti di partito”.
Civati dunque sta a Gallarate, ma è comunque preoccupato di quel che vede in giro. “E’ una situazione tra il surreale e l’inquietante. E’ colpa di Salvini, che è manesco, ma anche dei Cinque stelle che si sono votati a Salvini. Votano qualsiasi provvedimento, dal decreto sicurezza alla legittima difesa, e non si capisce perché visto che hanno molti più parlamentari e potrebbero influenzare parecchio il governo”. Sono fatti così, questi Cinque stelle, dice Civati: “Sono gli spingitori di Salvini. Ma sono anche la ‘Potere Srl’, rispetto alla quale la Spectre è più democratica”.