La Lega è in cerca di governanti
Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte: il partito di Salvini rischia di vincere anche dove non ha una classe dirigente spendibile
Roma. Alla fine scivolerà pure questa nella lunga lista delle dimenticabili uscite infelici del grilloleghismo, in un bestiario che continuamente si aggiorna. E però la figuraccia di Giuseppe Brini, che il due marzo scorso ha pensato bene di rivendicare i meriti del suo casato con una frase neanche troppo vagamente omofoba (“C’ho una famiglia normale, io, non c’ho gay”), si è rivelata agli occhi dei dirigenti della Lega come l’ennesima prova della propria impreparazione. Il vulcanico avvocato cinquantaquattrenne era stato indicato dal Carroccio come candidato sindaco del centrodestra per Pontedera, alle periferie di quella Pisa già espugnata dalla Lega la scorsa estate e ormai feudo della fedelissima di Matteo Salvini, Susanna Ceccardi. Proprio a lei, ora, spetterà decidere delle sorti di Brini, e non è escluso che la sindaca di Cascina, consigliera del ministro dell’Interno al Viminale, imponga al suo candidato un passo indietro. Ma resta il fatto che, paradossalmente, proprio sotto il peso di questa improvvisa e scomposta crescita di consensi, il Carroccio nazionalista trainato da Salvini rischi di crollare, in una sorta di crisi di gigantismo.
A dimostrarlo ci sta l’ansia con cui, ai piani alti della Lega, si sta procedendo alla recluta forzata di candidati spendibili in vista delle amministrative di maggio. Li si sta cercando, per lo più, tra i civici: professionisti, imprenditori, o manager affermati come la 45enne Giulia Pacciardi, candidata in quota Lega per le comunali di Livorno, città che i sondaggi in possesso dei consiglieri salviniani descrivono come contesa tra il Carroccio e il centrosinistra, col M5s – orfano del suo attuale sindaco Filippo Nogarin, desideroso di un seggio al Parlamento europeo – staccato di un paio di punti. Insomma, servono profili spendibili in campagne volte a intercettare anche un elettorato moderato. Scelta obbligata, d’altronde, visto che di classe dirigente, al proprio interno, la Lega ne ha ancora ben poca. E non vale, ovviamente, solo in Toscana.
In Emilia-Romagna, Salvini è convinto di conquistare Ferrara grazie al suo candidato, Alan Fabbri, attuale capogruppo in regione e accettato di buon grado anche dal resto del centrodestra. Il problema, però, è che i sondaggi interni dicono di una discreta possibilità di successo leghista anche a Modena, storica roccaforte rossa dove la Lega ha imposto come aspirante primo cittadino Stefano Prampolini, commercialista ben noto in città e con lontani trascorsi nel Carroccio che non appannano, però, il suo profilo civico. Senza contare, poi, che in autunno si voterà per la regione: e il ministro dell’Interno considera da tempo come una sfida decisiva per decretare la discesa del Carroccio sotto la linea del Po, accaparrandosi di fatto l’intero arco del nord produttivo. Obiettivo talmente ambizioso che nella Lega si prospetta già la scelta di nomi importanti, come candidati, quale quello della bolognese Lucia Borgonzoni, sottosegretario ai Beni culturali. Individualità, però, attorno a cui è difficile costruire una squadra di governo presentabile, sia a livello municipale sia regionale. Si dovrebbe ricorrere, anche qui, al mondo dei liberi professionisti, dove però, fino a oggi, ha sempre saputo pescare, assai meglio che la Lega, Forza Italia. E un po’ per la generale smobilitazione del partito berlusconiano, un po’ anche per la riluttanza con cui alcuni colonnelli azzurri accettano di fare i portatori d’acqua per i candidati salviniani, questo processo di arruolamento sembra un po’ logorato. Senza contare, poi, che sono spesso gli stessi professionisti sondati dalla Lega, al momento, a volere evitare – vuoi per imbarazzo, vuoi per prudenza – di apparire come legati al solo Salvini.
Una dinamica che, in fondo, si riscontra anche in Piemonte. Lì, il candidato del centrodestra designato da tempo sarebbe Alberto Cirio, europarlamentare forzista. Ma il Carroccio locale, guidato da Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera, non ha affatto rinunciato alla tentazione di imporre un suo nome: un civico, anche qui, e cioè Paolo Damilano, imprenditore vinicolo con relazioni trasversali. Come che sia, alla Lega spetterà indicare, in caso di vittoria, una manciata di assessori: e al momento, come confidano gli stessi leghisti locali, profili entusiasmanti, non ce ne sono. Le politiche di un anno fa hanno mandato in Parlamento l’intero gruppo dirigente regionale – compreso chi, nelle scorse ore, ha messo non poco a disagio i vertici del partito: tipo Gualtieri Caffaratto, deputato di Pinerolo che si è prestato come “tour operator”, con tanto di promozione via social, per una agenzia di viaggio locale che organizzava viaggi a Roma, con visite a Montecitorio e udienza papale annesse, per turisti piemontesi. E adesso, insomma, non resterebbe che raschiare il fondo del barile.