Il M5s rinuncia allo spoils system su Telt: Virano resterà dg
Estremisti a parte, anche il Movimento sa di dover tutelare il direttore generale della società italo-francese. I consigli a Conte, gli incontri con la Castelli
Roma. Chi lo ha visto arrivare puntuale come sempre, in questi giorni che sono seguiti alla bufera, nel suo ufficio a due passi dalla stazione di Porta Susa dove Telt ha la sede italiana, garantisce che gli attacchi che gli sono arrivati non sono valsi a turbare la sua proverbiale placidità. “E’ la politica”, ripete d’altronde, nei momenti più tribolati che lo vedono malgré soi coinvolto, l’architetto 75enne Mario Virano. Ma in fondo politici sono anche i motivi per cui, in verità, il direttore generale di Telt sa bene che, al momento, nessuno si sogna davvero di rimuoverlo dalla guida della società italofrancese impegnata nella realizzazione del tunnel di base tra l’Italia e la Francia. Nessuno, ovviamente, se non le frange più radicali del M5s valsusino, che vanno ripescando vecchie polemiche e vecchi ricorsi, che trovano poi il loro inevitabile sbocco in articoli di giornali amici che parlano di Virano come del “cantore della ‘banca del buco’”. La pretesa, alla fine, è sempre la stessa: fare fuori il dg di Telt, e con lui l’intero cda, procedendo così a “nuove nomine di persone di nostra fiducia” – così parlò Francesca Frediani, consigliera regionale e attivista No Tav, il 9 marzo scorso.
Lo scalpo di Virano, in verità, fu chiesto già nell’estate scorsa: e lì era ancora nutrita la pattuglia dei grillini che voleva farlo fuori. Senonché, arrivati al dunque, quando i consiglieri di Danilo Toninelli chiesero allo stato maggiore del M5s il nome di possibili sostituti, il silenzio che ne seguì convinse parecchi esponenti grillini ad abbandonare le loro scomposte velleità di spoils system. Perfino Laura Castelli, che più di tutti nel M5s segue da tempo il dossier della Torino-Lione, è tornata negli scorsi giorni a rinnovare il suo apprezzamento per Virano: è intoccabile, ha sentenziato a chi le chiedeva se fosse opportuno assecondare le istanze dei No Tav più oltranzisti. La sottosegretaria all’Economia, del resto, ha incontrato più volte Virano, già in tempi non sospetti e non solo in sedi istituzionali. Un dialogo a suo modo fertile, se è vero che la linea che il M5s ha deciso di seguire per cercare una scappatoia accettabile sulla Tav coincide con quella suggerita dallo stesso Virano. Anche il compromesso tartufesco trovato da Giuseppe Conte, al netto delle ipocrisie linguistiche cui è ricorso l’azzeccagarbugli del popolo, recepisce le indicazioni fornite dai vertici di Telt: lo stesso vaglio preventivo da parte dei governi italiano e francese – inserito come passaggio necessario prima di approdare alla fase decisiva dei bandi, con l’assegnazione dei capitolati di spesa – era stato prospettato come possibile soluzione, in via informale prima e in lettere ufficiali trasmesse al Mit poi, da Virano. Il quale, nell’incontro richiesto d’urgenza da Conte venerdì scorso, non si è affatto sentito rivolgere domande su eventuali sospensioni dei lavori. Il discorso col premier è ruotato su due perni: l’opportunità di non spingersi troppo oltre con l’avvio delle manifestazioni d’interesse, e la necessità, al contempo, di non perdere i 300 milioni di finanziamenti europei.
E da qui è nata l’idea di avviare una procedura unica articolata in due fasi, con nel mezzo il pronunciamento ufficiale di Roma e Parigi. Un espediente utile, peraltro, a fare sì che nel giro di sei mesi si arrivi al momento della verità, e si dissipi qualsiasi incertezza anche nei confronti delle aziende interessate ai bandi, tuttora attratte – nonostante la gazzarra politica che vi è sorta intorno – a quello che resta pur sempre il più grande appalto europeo. E che la procedura sia unica lo dimostra anche il fatto che, contrariamente a quanto alcuni grillini hanno cercato di dare a intendere, alla fase di assegnazione dei capitolati potranno accedere solo le imprese che sin d’ora decidono di partecipare alla selezione iniziale attraverso gli “avis de marché” (cit. Conte). Si partirà coi lavori di scavo del tunnel dal lato francese (2,3 miliardi), e si arriverà, in autunno, dunque dopo le europee, a bandire altre opere di scavo sul lato italiano, per un totale di circa 1,3 miliardi. E anche questo sta a testimoniare di come, tra le tante possibili correzioni da adottare al progetto, l’unico elemento davvero indiscutibile e immodificabile siano proprio i 57 chilometri della galleria transfrontaliera. Lo sanno anche i leader del M5s, se è vero che, deposta la retorica necessaria alle polemiche sui giornali, mai si sogno spinti, coi tecnici di Telt, a ipotizzare tracciati alternativi per oltrepassare la montagna, e neppure mai hanno vagheggiato davvero di improbabili rafforzamenti della linea storica, quella si arrampica fino ai 1300 metri del Frejus. Questa è una certezza. Il resto, appunto, “è politica”: nell’accezione peggiore del termine.
Equilibri istituzionali