L'inferno di Grillo
Comico che non fa ridere, politico che non comanda. Il fondatore del M5s condannato dalla legge del contrappasso: sale sul palco ed è fischiato da quel popolo di incazzati che ha aizzato per anni
La nemesi di Beppe Grillo si manifesta il 12 febbraio scorso, a Bologna, nella città dove 12 anni prima c’è stato l’evento fondativo del Movimento: il V(affanculo)-Day. Grillo non torna in piazza, nella sua veste di politico, ma a teatro in quella di comico per una tappa del suo nuovo spettacolo “Insomnia”. A un certo punto parte la contestazione: fischi, insulti, striscioni sulla “libertà di scelta” sui vaccini. Sono No Vax che per anni si sono nutriti delle bufale e delle fesserie di Grillo contro i vaccini e ora gli danno del traditore, gli rinfacciano di aver firmato il “Patto per la scienza” con Renzi e l’immunologo Roberto Burioni, di essersi venduto alle multinazionali. “Grillo, dimissioni subito!”, gli dicono. E lui, dimenticando di essere il Garante del M5s, risponde: “Io non devo essere dimissionato perché non ho nessuna carica”.
Poi cerca di spiegare, “le grandi passioni” che hanno mosso il M5s e il diritto a “essere contraddittorio, perché la contraddizione spesso porta alla verità”. Ma dai contestatori si leva un “Grillo, hai rotto i coglioni!”. “Ci hai tradito”. Il leader, che non guida, ma che è Garante, quindi Guida Suprema secondo il modello iraniano del partito, cerca di sfilarsi: “Non sono più il capo politico di un partito, non menarmela, con quello che ho fatto io per questo cazzo di paese, non me lo merito. Non ho nessuna carica”.
E la confusione tra i ruoli, politico e artista, si trasferisce alla performance, che non si capisce più se sia comizio o spettacolo. Perché i contestatori politici vengono contestati dal pubblico pagante: attivisti contro spettatori. Con il dilemma che si trasferisce alla direzione del Teatro delle celebrazioni, quando qualcuno chiede il rimborso del biglietto perché aveva pagato per vedere un altro tipo di spettacolo. E nel frattempo il diverbio tra i No Vax e i sostenitori del Garante dal foyer si sposta in strada, con la sicurezza del teatro che deve fare il lavoro della Digos. “Si manifesta nelle sedi opportune e non a uno spettacolo, indispettendo mille persone e sfruttando le presenze create da altri, venute anche da lontano per godersi una serata in allegria – dicono i meetup grillini –. Magari alcuni potevano anche essere d’accordo con i No Vax e interessati ad ascoltare le loro ragioni, ma non ad uno spettacolo pagante”. Ma dove si può contestare Grillo, che non si vede più in giro e non parla mai, se non in uno spettacolo teatrale?
La scena sembra quella di un girone infernale in cui gli iracondi si azzuffano tra di loro e qualcuno, come Filippo Argenti, si morde da solo. E in effetti la figura di Beppe Grillo, mezzo politico che non comanda (più) e mezzo comico che non fa ridere (più), è davvero tragica. Non sono le critiche e i fischi degli studenti di Oxford di inizio anno, ma la rivolta dei suoi fan. E’ come se stesse espiando una pena infernale in vita: secondo la logica del contrappasso dantesco, in ogni spettacolo tutte quelle sette, sigle e persone che ha aizzato e sobillato per anni gli si rivoltano contro. A ogni tappa del suo tour, un pezzo di pubblico-elettorato che prima rideva e l’applaudiva ora schiuma di rabbia e lo fischia. Il 29 gennaio al Dal Verme di Milano c’erano i No Vax: “Lui era quello che lottava contro le lobby, ma ora è come tutti: un servo delle multinazionali!”. Il 19 febbraio al Brancaccio di Roma c’erano gli attivisti della prima ora, quelli che ancora credono nel non-statuto e nell’uno-vale-uno e quindi protestano contro la trasformazione da movimento a partito: “Rousseau-Trouffeau”, “Grillo traditore”, “Ci hai venduto a Casaleggio”. Il 1 marzo al teatro Colosseo di Torino: “Quello che diceva sulle multinazionali, sulle case farmaceutiche, sui vaccini viene disatteso. Il Garante avrebbe dovuto difendere i principi fondamentali, si ricordi ciò che diceva nel ‘98”. Grillo cerca di venirne fuori con una delle sue trovate: lancia l’idea della “contestazione a pagamento”, mettendo a disposizione “mandarini da tirare a Grillo a fine spettacolo” dopo aver pagato un pass. Ma le contestazioni proseguono. Il 7 marzo a Bari, al teatro Team, c’è chi gli rinfaccia tutte le promesse tradite (democrazia interna, alleanze, rimborsi): “Grillo ci restituisca il movimento del 2009, si dimetta dal ruolo di garante”. Due giorni dopo a Lecce, in una zona come il Salento in cui il M5s ha gettato benzina sul fuoco di molte rabbie e paure, il ritorno di fiamma è più forte. Davanti al teatro Politeama ci sono i No Tap, i No Ilva, i No Triv e i Sì Xylella che organizzano un mini V-Day contro il fondatore del partito del Vaffa urlando: “Grillo, Grillo vaffanculo! Grillo, Grillo, vaffanculo!”.
Sarà per questa situazione difficile, con il rischio concreto di essere l’obiettivo del lancio di mandarini a teatro, che Grillo non è andato a inizio mese al Carnevale di Ivrea. Si era iscritto per partecipare alla tradizionale “battaglia delle arance” insieme a Davide Casaleggio, ma poi ci ha ripensato. Lo spirito con cui Casaleggio ha preso arance in faccia è stato molto più divertito. Sul carro con lui c’era Valerio Tacchini, il notaio dell’“Isola dei famosi”, già candidato non eletto del M5s al Senato e ora consulente del ministero dei Beni culturali, che segue tutte le faccende del movimento. Il finto “certificatore” del voto di Rousseau (in pratica colui che dice che il numero di voti comunicato al pubblico sia lo stesso che compare sulla piattaforma, senza poter dire – per competenza e funzione – come sia venuto fuori quel numero e se qualcuno ci ha messo mano), è anche il protagonista – in veste professionale – di un documento del sistema di scatole cinesi del movimento sinora mai emerso: l’atto costitutivo del M5s versione 3.0, ovvero quello di fine 2017 (ci sono altri due “Movimento 5 stelle”, uno del 2009 e un altro del 2012). Il documento doveva essere depositato in tribunale in una delle cause sul ginepraio di statuti e regolamenti del M5s con cui l’avvocato dei militanti epurati, Lorenzo Borrè, sta facendo impazzire i vertici del primo partito italiano. Così, il giorno prima della scadenza imposta dal tribunale per il deposito, il documento arriva alla stampa: si scopre così, in una sorta di riscrittura della storia, che il 20 dicembre 2017 – dinanzi al notaio Tacchini – Davide Casaleggio e Luigi Di Maio fondano il M5s. E loro, “fondatori di un partito già fondato” come ha scritto Maurizio Crippa sul Foglio, nominano il fondatore Beppe Grillo “Garante” di un nuovo partito che non ha fondato.
L’esigenza di rifondare l’associazione e il movimento deriva da problemi legali, dall’indagine del Garante della privacy sull’utilizzo dei dati personali alle cause con gli iscritti epurati e per la titolarità del simbolo. Tutte cause dovute a decisioni e regolamenti che si sono stratificati e ingarbugliati negli anni e da cui è impossibile uscire. Un po’ come si fa con le banche in dissesto, viene creata una good bank capitanata da Di Maio e Casaleggio in cui far confluire gli iscritti, i dati e le attività del partito e si cerca di far affondare i casini, i debiti e i “crediti deteriorati” in una bad bank. Le cause, le querele e tutte le spese connesse sono all’origine del “passo di lato” di Beppe Grillo. Ma anche ciò che impedisce il passo indietro.
La rifondazione del M5s non serve solo a risolvere beghe giudiziarie, ma decreta con un atto notarile e privatistico una trasformazione storica del partito. Come l’atto costitutivo dell’Associazione Rousseau sancisce il passaggio ereditario del controllo sul partito da Gianroberto a Davide, l’atto costitutivo del M5s 3.0 sancisce la scalata interna di Luigi Di Maio e Davide e la parziale estromissione di Beppe Grillo. In pratica i due giovani si riuniscono e con un accordo si spartiscono il controllo del partito: a uno il potere politico e all’altro quello finanziario. E’ vero che Di Maio era stato eletto leader della forza politica, ma è lui stesso ad attribuirsi i poteri, la durata e le funzioni del suo incarico nello statuto messo a punto – secondo quanto riportato da diversi giornali, mai smentiti – dallo studio Lanzalone. Così è come è il nuovo statuto a legare per sempre il M5s all’Associazione Rousseau, che Casaleggio ha blindato nelle sue mani con un altro atto notarile. In pratica Di Maio e Casaleggio scrivono le regole del nuovo partito, nominano tutte le cariche del partito e, davanti a un notaio, si spartiscono il movimento della “democrazia diretta”: a uno il controllo politico e il potere sulle candidature, all’altro il controllo informatico ed economico con la garanzia di un flusso finanziario continuo a carico degli eletti (senza che gli eletti o il partito possano avere voce in capitolo sulla gestione e sull’indirizzo delle risorse).
Beppe Grillo è stato quindi raggirato? Non proprio, purtroppo per lui. In tal caso avrebbe perso definitivamente il controllo della sua creatura, ma avrebbe conquistato la sua libertà: di fare il comico, di fare satira politica, di poter criticare chiunque, compresi i signor nessuno che grazie a lui sono arrivati al governo. Invece Grillo si fa “garante”, nominato da Di Maio e Casaleggio, di questo patto. Per quale ragione? La motivazione più plausibile, vista anche la sua fama di avaro, su cui tra il serio e il faceto torna spesso chiedendo interviste a pagamento e contestazioni a pagamento, sono i soldi. Le cause che tutte le varie entità della galassia grillina – dalle varie associazioni al blog – si trascinano avanti sono tante. E a pagare le spese legali di Beppe Grillo è Davide Casaleggio, attraverso l’Associazione Rousseau e con i soldi di eletti e militanti. Lo scorso anno, solo per due cause sulle ingiuste espulsioni, l’associazione Rousseau ha sborsato oltre 50 mila euro. Nel rendiconto del 2017, l’ultimo disponibile, Davide Casaleggio ha messo a bilancio 90 mila euro per coprire le spese legali di cause perse o in corso di definizione.
Secondo lo statuto il ruolo del Garante del M5s non è semplicemente rappresentativo. Grillo ha poteri ampi ed estesi, potrebbe intervenire quasi su ogni singola materia, riguardante anche l’indirizzo politico. Ma nella realtà, l’ex fondatore non ha alcuna capacità di incidere sia perché non ha influenza sugli eletti e i gruppi parlamentari (che rispondono a Di Maio) sia perché non ha gli strumenti tecnici e finanziari (controllati da Casaleggio). E si è visto quando ha provato a intervenire su questioni strettamente politiche. L’ultima volta è avvenuta quando, su pressione di Carla Ruocco (che ha un buon rapporto personale con lui), si è espresso in maniera netta sulla presidenza della Consob: “L’Elevato garante vuole esprimere un parere su garanzia cittadini per nomina Consob: senza dubbio Marcello Minenna”. L’indicazione è caduta nel vuoto: Grillo non è riuscito a imporre al M5s neppure quello che, formalmente, era già stato scelto dal M5s come candidato ufficiale.
Negli ultimi mesi Grillo ha cercato di ricrearsi uno spazio con il nuovo blog, staccato dalla Casaleggio Associati, ma scrive cose sconnesse e confuse, dimostrando quanto il suo successo sul web sia stato farina del sacco di Gianroberto Casaleggio. Oppure prova a tornare a fare il comico, ma è perseguitato dal suo ruolo politico e non riesce a fare satira perché ora al potere c’è lui. Ed è ritenuto uomo di potere nonostante non abbia più il controllo del partito. Grillo desidera la libertà, ma è prigioniero di un meccanismo di cui è stato artefice e strumento. Così si ritrova ad essere un comico che non fa ridere e un politico che non comanda, condannato a fare spettacoli in cui, al posto degli applausi del pubblico pagante, riceve i fischi degli oppositori politici che una volta erano suoi fan. Un inferno.