Salvini non governa da papà
Dice di governare “da papà” ma finora Salvini ha fatto tutto l’opposto di quello che servirebbe ai nostri figli per avere un futuro migliore. Debiti, lavoro, investimenti, ricerca, crescita, istruzione. Perché “nazionalismo” è il contrario di “opportunità”
Da molti mesi a questa parte il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, non fa altro che ricordarci che ogni suo gesto, ogni sua scelta, ogni suo annuncio, ogni sua frase, ogni suo tweet, ogni sua iniziativa vengono sempre ponderati con la stessa cura con cui un buon padre di famiglia si occupa del futuro dei propri figli. Fino a oggi, la formula salviniana del “lo dico da papà”, accompagnata da molte emoticon con occhiolino strizzato e cuoricino inviato, è stata spesso adottata dal ministro per provare a rendere meno truce il trucismo e dare così un tocco di presentabilità ad alcune scelte impresentabili messe in cantiere dal proprio partito e dal proprio governo. Mi alleo con Orbán, ma lo faccio da papà. Flirto con i peggio neofascisti d’Europa, ma lo faccio da papà. Mi occupo solo dei pensionati, ma lo faccio da papà. Alzo le tasse, ma lo faccio da papà. Aumento il debito pubblico, ma lo faccio da papà. Gioco con la xenofobia, ma lo faccio da papà. Trasformo tutte le ong del mare in taxi del crimine, ma lo faccio da papà. Potremmo andare ancora avanti a lungo con questo giochino, ma nel giorno della Festa del papà – auguri a tutti – può essere utile osservare la traiettoria imboccata dal governo del cambiamento usando non la lente di ingrandimento degli economisti, dei giuristi, degli europeisti, ma una più consona con la giornata di oggi: quella dei papà.
Un buon papà, più che usare la sua paternità come un’arma di distrazione per provare a rendere inattaccabile ogni sciocchezza commessa in nome dei propri figli, dovrebbe provare a chiedersi ogni giorno cosa stia facendo di utile per il futuro dei propri figli. E se volessimo analizzare il trucismo da questo punto di vista, potremmo dire che il bilancio politico del Salvini papà è infinitamente peggiore rispetto al bilancio politico del Salvini ministro. Nella sua vita privata sarà certamente un bravissimo papà, ma nella sua vita politica Matteo Salvini ha fatto finora tutto l’opposto di quello che servirebbe ai nostri figli per avere un futuro migliore.
Governare da buon padre di famiglia significa fare tutto ciò che è necessario per aumentare le opportunità dei nostri figli. Ma un ministro che non si preoccupa del debito pubblico, che flirta con il peggio della cultura no vax, che scassa i conti di un paese per pagare più pensioni e non per creare più lavoro, che sceglie di scommettere sull’isolamento piuttosto che sull’integrazione, che per un pugno di follower è disposto a mettere in discussione un miracolo chiamato Europa che da decenni garantisce pace e benessere all’interno dei suoi confini, che non si vergogna di giocare con il razzismo quando si parla di immigrazione, che non si vergogna a ergersi a difensore delle democrazie illiberali, che se ne sbatte del fatto che il paese con una delle disoccupazioni giovanili più alte d’Europa sia anche quello con una delle spese pensionistiche più alte del continente, che non capisce che creare sfiducia significa far scappare dall’Italia investitori e dunque attentare al futuro dei nostri figli, che dovendo scegliere tra un sostegno ai pensionati e un sostegno alla ricerca preferisce la prima opzione alla seconda, che dovendo scegliere tra una misura di assistenzialismo e una di investimento sull’innovazione preferisce la prima opzione, che dovendo scegliere tra la crescita del proprio partito e la crescita del proprio paese preferisce la prima opzione, ecco, un ministro che da papà fa tutto questo può davvero guardarsi allo specchio e dire che sta facendo di tutto in politica per comportarsi da bravo papà? Non pretendiamo naturalmente di far cambiare idea al Salvini ministro ma pretendiamo di far ragionare il Salvini papà su un punto che dovrebbe interessare chiunque abbia a cuore il futuro dei nostri figli.
Nella grammatica salviniana la chiusura, il no all’Europa, agli immigrati, alla globalizzazione, all’apertura, all’integrazione, è un no che dovrebbe aiutarci a riprendere il controllo della nostra esistenza. In realtà la declinazione del no messa in campo dai teorici del populismo è la perfetta negazione della protezione, nella misura in cui crea le migliori condizioni per non dare ai nostri figli l’unica forma di protezione di cui hanno bisogno: essere attrezzati per trasformare il mondo non in una trappola di paure da cui fuggire ma in una grande fonte di occasioni da cogliere. In questo senso, l’ideologia nazionalista del Salvini politico è più paternalistica che paterna: non cerca di proteggere i figli dandogli gli strumenti per fare le scelte giuste nel futuro ma cerca di piegare le idee dei figli alle vecchie ideologie dei padri. Ma un paese in cui il sessantacinque per cento dei lavori che faranno i nostri figli ancora oggi non esiste è un paese che non ha bisogno di paternalismo, non ha bisogno di presentismo ma ha bisogno di avere politici impegnati a evocare speranze, sogni, fiducia, aperture mentali e trovare un modo per regalare ai nostri ragazzi un avvenire in cui le opportunità contino più di un reddito di cittadinanza. Il trucismo, finora, ha dimostrato di essere una tetra sommatoria di chiusure, di risposte alle paure, di paletti fissati sui confini del nostro futuro in nome di una maggiore sicurezza delle nostre vite. Nel giorno della Festa del papà, forse, sarebbe utile interrogarsi se sia questo il modo migliore per governare da bravo papà. Auguri a tutti.