Il suicidio politico degli antisistema
Rompere uno schema senza averne uno di riserva a cui aggrapparsi in caso di necessità. Il memorandum con la Cina, la Brexit, la Catalogna, le pazzie no euro. Il ripiego nazionalista non propone nulla, è solo un rifiuto senza progetto. Occhio
La scelta poco assennata del governo italiano di rompere l’unità del G7 firmando il memorandum con la Cina sulla Belt and Road Initiative (Bri) non pone soltanto questioni legate al futuro della nostra sicurezza nazionale ma pone questioni ulteriori legate a un tema altrettanto importante che non riguarda solo il nostro rapporto con la Cina. Un tema che potremmo sintetizzare con cinque parole: il suicidio delle politiche antisistema.
Anche ieri il presidente del Consiglio italiano ha scelto di minimizzare il peso effettivo dell’adesione dell’Italia alla Bri – accordo che secondo il Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti espone il nostro paese a un “approccio predatorio” che la Cina nasconde dietro il suo megaprogetto infrastrutturale su scala mondiale. Ma al di là delle dichiarazioni di circostanza, il dato cui non si può sfuggire è questo: l’Italia ha deciso di seguire nelle sue scelte di politica estera uno schema che – esattamente come fu quando il nostro governo risultò essere l’unico tra i grandi d’Europa a non riconoscere il presidente Guaidó in Venezuela, facendo proprio come Russia, Iran, Turchia e Cina (ooops) – rischia di portarci a rompere uno schema di alleanze internazionali senza averne neppure uno di riserva a cui aggrapparsi in caso di necessità. Per essere fuori dalla Nato, naturalmente, non è sufficiente firmare un memorandum con la Cina sulla Bri o non riconoscere il presidente Guaidó. Ma il semplice fatto che gli Stati Uniti e altri paesi europei – come la Germania – abbiano fatto sapere al governo italiano che ci sarebbero conseguenze sullo stato di collaborazione strategica in ambito militare e di intelligence tra Italia e Stati Uniti nel caso in cui i cinesi dovessero costruire infrastrutture nei porti di Genova o Trieste e nel caso in cui le aziende di stato cinesi dovessero essere coinvolte nella gestione della rete 5G in Italia, dovrebbe farci riflettere tanto sulla superficialità con cui i populisti gestiscono la propria politica estera, quanto sul fatto che il destino delle forze che piegano ogni propria decisione politica alla dottrina antisistema è di produrre non un nuovo sistema alternativo a quello vecchio ma, molto più semplicemente, un collasso del proprio sistema. Nessuno si augura che la firma del memorandum per la Bri abbia sull’Italia lo stesso impatto registrato in Repubblica ceca dopo la firma dello stesso accordo (a quattro anni da quella firma un think tank dell’Università di Praga chiamato Sinopsis ha pubblicato un dossier sui rapporti tra Repubblica ceca e Cina e l’analisi ha confermato che gli anni recenti di collaborazione con Pechino hanno portato alla Repubblica ceca perdita di sovranità, interferenze politiche e nessun beneficio economico tangibile). Ma almeno fino a oggi si può dire che in Europa, ogni volta che una forza antisistema ha provato a cambiare sistema, nel migliore dei casi essa si è accorta in tempo che non c’era un’alternativa al vecchio sistema, mentre nel peggiore si è resa conto troppo tardi che il cambiamento di sistema portava diritto verso un baratro.
La Grecia si è accorta prima che fosse troppo tardi che uscire dall’euro non avrebbe portato a vivere in un nuovo mondo, bensì a uscire dal mondo. L’Italia si è accorta prima che fosse troppo tardi che giocare con i trattati europei non avrebbe portato a vivere una nuova verginità economica, ma avrebbe portato a subire un collasso finanziario. La Catalogna si è accorta troppo tardi delle conseguenze dell’indipendentismo (nel giro di pochi mesi sono crollati gli investimenti – tre anni fa erano un terzo del totale che arrivava in Spagna, oggi solo il sei per cento – e la crescita del pil oggi è la peggiore degli ultimi tre anni). Allo stesso modo il Regno Unito si sta accorgendo solo adesso che nessuno di coloro che aveva promesso uscite non traumatiche dall’Unione europea aveva idea di cosa sarebbe successo alla Gran Bretagna in caso di uscita hard dall’Ue (secondo il governatore della Banca centrale inglese, Mark Carney, con un no deal il pil di Londra sprofonderebbe dell’8 per cento nel giro di un anno rispetto alla ricchezza prodotta nel paese nel periodo pre referendum, e del 10,5 per cento nei cinque anni a venire, la sterlina crollerebbe del 25 per cento, il tasso di disoccupazione raddoppierebbe al 7,5 per cento dall’attuale 4,1 per cento, mentre secondo un report di alcuni funzionari del governo, riportato dal Financial Times qualche settimana fa, anche con una soft Brexit il pil della Gran Bretagna calerà del 3,9 per cento nei prossimi 15 anni). Apparentemente si potrebbe pensare che le scelte antisistema dell’Italia possano essere distanti anni luce da fenomeni antisistema come quelli registrati in Grecia, in Gran Bretagna e in Catalogna. Ma, se ci si pensa un attimo, in realtà esiste un filo conduttore preciso che lega ogni tentativo di uscire fuori dagli schemi portato avanti dai politici senza strategia ed è quello segnalato all’interno del suo manifesto “Per un Rinascimento europeo” da Emmanuel Macron (che la prossima settimana incontrerà all’Eliseo il presidente Xi accompagnato non da Luigi Di Maio e da Matteo Salvini ma dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel, e dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker). Il concetto è semplice: il ripiego nazionalista non propone nulla, è solo un rifiuto senza progetto. C’è chi pensa di affrontare le sfide del mondo ragionando da topolino e chi lo fa ragionando da dragone. L’Italia ha scelto di fare la parte del topolino. Auguri di cuore e si salvi chi può.