Il neosegretario del Pd, Nicola Zingaretti (foto LaPresse)

Così il Pd ha costruito le condizioni per la sconfitta in Basilicata

David Allegranti

Il ruolo dei micronotabili, diventati più potenti del partito. Intanto tra i Democratici si litiga e c'è chi attacca chi è contento del secondo posto

Roma. Luigi Di Maio attacca il “sistema” – bizzarro che lo dica chi è al governo e ormai parte del famigerato establishment – reo di criticare la netta non vittoria del M5s in Basilicata. Il M5s è il primo partito, sostiene Di Maio, in un trionfo di auto-indulgenza. Peccato però che alla fine governi il centrodestra. Nel Pd, invece, il duello è interno a chi cerca compagni di responsabilità non da condividere ma da usare come clave con cui spaccar teste e chi è contento del secondo posto: “Il Pd alle politiche 2018 aveva ottenuto il 16,38 per cento. Il centrosinistra invece passa, sempre rispetto alle politiche 2018, dal 26 per cento al 33 per cento, compiendo un balzo in avanti del 7 per cento”, dice il neo-coordinatore della comunicazione Marco Miccoli.

 

  

“Friuli, Trento, Molise, Abruzzo, Sardegna e Basilicata. Alla sesta volta credo che persino il grande Toto Cutugno abbia smesso di esultare per il 2° posto. Noi abbiamo intenzione di andare avanti parecchio?”, dice la deputata Anna Ascani, ricevendo in risposta un tweet dell’ex parlamentare Roberto Della Seta: “Certo che ci vuole coraggio, e anche sprezzo del ridicolo, per chiamarsi fuori, da ‘renziani’, rispetto a un disastro che con tutta evidenza affonda le sue radici negli anni di strapotere di Renzi sul Pd”.

 

La verità, come si suol dire, starà nel mezzo; certo è che il Mezzogiorno è sempre stato un tabù per l’ex segretario del Pd, che aveva suggerito il “lanciafiamme” per gestire il partito salvo accorgersi di non avere abbastanza petrolio. E’ un problema antico, come ha più volte rilevato nei suoi studi il politologo Mauro Calise, che ha analizzato le storiche difficoltà del centrosinistra nel Mezzogiorno a gestire un partito in mano ai micronotabili. Una questione senza dubbio non affrontata da Renzi, che per l’appunto nei suoi anni da segretario si è affidato proprio ai micronotabili di cui, in teoria, si sarebbe voluto liberare. A partire dai fratelli Pittella, Gianni e Marcello, protagonisti di una stagione politica che è stata sconfitta domenica scorsa.

 

Il Pd, nascosto sotto l’etichetta Comunità Democratiche – Partito Democratico, ha preso il 7,8 per cento. Avanti Basilicata, la lista civica di Marcello Pittella, ha preso di più: l’8,6 per cento. In totale le liste a sostegno del candidato presidente Carlo Trerotola, uno sconosciuto farmacista, ex simpatizzante di Giorgio Almirante, erano ben 7. Con un tale dispiegamento di forze, il centrosinistra è arrivato appena al 33,1 per cento. Secondo dietro al centrodestra e davanti al M5s, giunto terzo, certo, ma come osserva Lorenzo Pregliasco, “con questi dati e il Rosatellum vedo che un mucchio di collegi al sud passerebbero dal 5 Stelle al centrodestra”.

 

Insomma, alla fine il giochino delle responsabilità incrociate rischia di condizionare il dibattito pubblico del centrosinistra a lungo, fra chi dice che è tutta colpa di Renzi e chi invece che il Pd continua a perdere anche senza Renzi. Una visione dualistica miope, ammette con molta onestà il senatore Salvatore Margiotta, che dice: “In Basilicata il centrosinistra vinceva anche quando Berlusconi trionfava in Italia e nel sud. Non perdiamo (solo) a causa del vento nazionale. Perdiamo soprattutto per responsabilità locali”. Le responsabilità locali sono evidenti. Marcello Pittella che dopo l’arresto anziché ritirarsi dalla corsa ha atteso quasi la chiusura delle liste per fare un passo indietro; lo stesso Pittella che ha scelto un candidato improbabile come Trerotola senza accettare discussioni. C’è poi una questione sovra-regionale che riguarda l’indirizzo politico del Pd, che ha buttato via un anno per fare un congresso e galleggiando nell’assenza di una leadership di partito riconosciuta dal “popolo delle primarie” e demandando tutto allo strapotere dei micronotabili. Le ottomila preferenze di Marcello Pittella (un tempo undicimila) sono la certificazione di quel che Calise ha spiegato negli anni. La trasformazione dei partiti del Mezzogiorno in partiti personali al servizio dei Pittella (e dei De Luca, altrove), diventati nei decenni più potenti delle stesse comunità politiche. Non dimentichiamo poi che il centrosinistra aveva già perso Matera e Potenza. Con queste premesse, era impensabile che il Pd potesse tenersi la regione che governava ininterrottamente dal 1995.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.