Nicola Zingaretti (foto LaPresse)

“Il Pd si sta autoconvincendo che questo governo durerà poco, e sbaglia”, ci dice Calise

David Allegranti

Il politologo ci spiega perché Zingaretti spera in un voto subito e perché Salvini è il primo a temere il calo dei consensi del M5s

Roma. Dice il politologo Mauro Calise, autore di importanti pubblicazioni sulla leadership e l’organizzazione dei partiti, che il centrosinistra rischia di commettere con questo governo l’errore che ha già fatto con Berlusconi per vent’anni: pensare che questo esecutivo finirà presto senza porsi minimamente il problema di darsi un’organizzazione efficiente e un’identità precisa. “Non basta dire ‘cambiamo tutto’”, dice Calise al Foglio. “La domanda è: quanto tempo Nicola Zingaretti impiegherà a mettere in campo una nuova organizzazione del Pd, ammesso che lo voglia veramente fare? Finora lui si è mosso bene, è riuscito a non creare di nuovo quella sindrome da frazionismo autodistruttivo che ha caratterizzato gli ultimi anni di questo cosiddetto partito”. Ma la domanda, appunto, è se ce la farà, dice Calise. “Zingaretti dimostra di avere buona volontà, ma non si sa se ha anche la convinzione che Renzi aveva. Nonostante tutte le critiche che gli sono state fatte dopo, l’ex sindaco di Firenze aveva una sua idea ben precisa”.

 

Il problema adesso, osserva Calise, è che nel centrosinistra “c’è una sorta di autoconvincimento, e cioè che il governo gialloverde vada a sbattere. Ma non si capisce bene perché Salvini dovrebbe mollare questo governo per rifare un’operazione vecchio stampo con Berlusconi. Anche perché così Berlusconi resusciterebbe un pochino, come già sta provando a fare. A quel punto, Salvini farebbe il primo ministro con le piazze in mano ai Cinque stelle, seppur un po’ spompati, e al Pd. Perché mai dovrebbe fare una cosa del genere?”. L’unico che potrebbe costringere i Cinque stelle a lasciare il governo è Casaleggio, ma a che pro?, chiede Calise. “Per tentare una nuova alleanza con il Pd? Lo vedo francamente improbabile”, aggiunge il politologo.

 

“Salvini dunque non li caccerà mai, domenica era persino preoccupato per i voti persi dal M5s. Il perché è evidente: se facesse il primo ministro lui, dovrebbe finalmente far vedere se è bravo o no”. Per questo “non può tirare la corda. Adotta casomai il metodo Conte: un po’ di qua, un po’ di là, un così, un po’ colà”. La democrazia delle cucchiaiate, insomma, del “quanto basta”. “Al momento – dice Calise – Cinque stelle e Lega restano condannati a stare insieme”. Quella del Pd è dunque “una illusione: si stanno autoconvincendo che il governo finirà. E perché? Solo perché l’economia va male? Solo perché dovranno fare una nuova finanziaria con il rischio di un salasso? Nelle democrazie contemporanee non basta questo a far cadere un governo, come l’America di Trump ci sta insegnando”.

 

Il Pd quindi spera in un voto subito “per prendere tre punti in più e dire ‘avete visto? Stiamo risalendo”. Ma non risolverebbe niente. Oltretutto le brutte notizie paiono destinate, per il momento, a non finire con la Basilicata. “Le prossime amministrative rischiano di tagliare le gambe a Zingaretti come è stato per Renzi in passato. Finora si è votato in regioni piccoline. Ma la possibile perdita del Piemonte a maggio sarebbe già un altro discorso. Così come la sconfitta in Emilia Romagna, vero spartiacque, a fine anno. Io non ce lo vedo un segretario che resta in carica perché ha preso il 3 per cento in più alle elezioni ma nel frattempo ha perso una regione come l’Emilia”. Diverso sarebbe il discorso se effettivamente Zingaretti desse un segnale forte di cambiamento. “Se uno dice che vuol cambiare tutto poi lo deve fare sul serio, prendendosi anche un tempo lungo. E può perfino mettere in conto di prendere qualche botta. Ma in quel caso sarebbe il prezzo da pagare per una svolta radicale. Ben visibile.” Le alleanze a sinistra, per carità, dice Calise, servono, “ma il problema è la visione del mondo con cui il nuovo segretario si rivolge al paese. E soprattutto ai giovani. Fa bene Veltroni a dire che la sinistra deve puntare su scuola e istruzione pubblica, Baricco ha posto con il suo ultimo libro un problema di cultura della rete che il Pd dovrebbe trasformare nella propria bandiera. Zingaretti lo ha davvero capito che siamo entrati in un nuovo mondo?”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.