Il dramma di vivere in un'èra senza più verità
Famiglia, Trump, Cina, sovranismo. Provate a convincere chiunque di una qualche verità e vedrete che fine farete. Il sommario di decomposizione come esercizio parossistico di ottimismo
E’ sempre stato in parte vero, ma mai così, mai in modo così evidente, plateale, indiscutibile: le rivoluzioni nascono dal basso, cioè dal costume, e oggi il costume è quel che vedi (pubblicità, video, cinema, netflix, sport, musica, gastronomics, people press fotografia, installazioni), è prodotto e scambio, immagine e suono. La parola, la legge, il concetto (in senso logico, socratico) se la passano maluccio di questi tempi, riconosciamolo una buona volta e rassegniamoci. Tutto, compresa la chiesa cattolica, compreso l’ortodosso Putin, compreso Trump col suo riporto MAGA e “no collusion”, compresi i nazional-populismi con le loro protesi pseudoeticiste, tutto, compresi il Dragone e la comunità di Bose, le ossessioni del grande rimpiazzo e il multiculti, il sesso e la demografia pendula, Verona e antiVerona, la democrazia rappresentativa e il fascismo, l’ambiente e l’Apocalisse, i cardinali con lo strascico e i preti infoiati, tutto ruota intorno a percezioni vaghe e vaghe blasfemie domestiche. Provati a convincere chiunque – convincere: parola desueta – di una qualche verità, e vedrai la fine che fai. Viviamo nel regno relativista dei comportamenti, e gli argomenti muoiono di freddo anche in primavera. Questo aveva ben capito Ratzinger, nelle sue omelie sul sagrato di San Pietro e in cattedrale, nei suoi discorsi, nelle sue encicliche, e alla fine si è dovuto ritrarre sull’orlo dell’abisso davanti alla dittatura dell’Io e delle sue invincibili voglie.
La maledizione di vivere in tempi interessanti decisamente ci ha colpito. Ha affondato i libri, che sono polvere di stelle destinata ai festival della cultura, i giornali, che sono polvere in attesa del macero, assorbendo tutto nella comunicazione, nell’intelligenza sempre più artificiale, e nel deserto affollato del commercio universale le pretese della ragione illuminata o anche solo del ragionevole in mezza tinta sbiadiscono, creano da sé la propria ombra, s’incurvano sotto il peso del sentimento, del desiderio, del comportamento. Ecco, il comportamento. I veronesi ci hanno fatto ridere, ci hanno anche molestato con i loro gadget, ci hanno funestato con le loro scemenze, ma tutto per vizio di incongruità: non sono importanti le cose dette e pensate, pochine, elementari, selvagge, incapaci di riscatto razionale, importa invece, e in modo decisivo, l’attrito con i comportamenti. Siamo single anche sposati, siamo senza figli anche con prole, siamo immersi nel sentimento indifferente dell’amore, abbiamo due tre quattro vite che non si tendono ad arco, non sono parabole, sono atti passibili di riproducibilità, prodotti dell’esistenza che non esistono. Ma che vuoi discutere dell’aborto, del matrimonio, del cristianesimo, della politica, della democrazia, del debito pubblico, della responsabilità individuale, della libertà e magari dell’utilità dei classici, l’Ulisse modernista è come mai prima multiverso, si frammenta e si sdoppia, si moltiplica infine nei suoi comportamenti che aspirano a un’Itaca inesistente. Lucrezio diceva che non si può escludere la resurrezione, come fatto materiale, comprese unghie e capelli come pensava San Tommaso, ma il risorto non sarà lo stesso di prima, gli mancherà la coscienza di esserlo, la salvezza è una mistificazione per far lavorare il timordiddio.
La chiusura dei porti come il rosario, la felpa, le divise, il muro e la chiusura del southern border, erano e sono cattiva epica e cattiva etica, ma neanche le cose cattive sono più quelle di una volta, signora mia. Ha senso parlare di incompetenza e competenza nell’epoca della Gabbia trasformata in commissione parlamentare sulle banche? Si può discutere di economia e società nel mondo flautato di un Antonio Maria Rinaldi? Il sommario di decomposizione di Cioran, e l’ho sempre sospettato, era un esercizio parossistico di ottimismo.