La variabile Bettini nel Pd
Roma, Europa, Cinque stelle, “campo largo”. Quanto contano, nel nuovo assetto del Partito democratico, le parole dell’uomo che di Zingaretti è stato il mentore
Il giallo, come ogni giallo che si rispetti, si alimenta di piccoli sospetti. E questo giallo, se così si può chiamare, si scioglierà, chissà, collegando piccoli e quasi impercettibili indizi. Ma qui non c’è uno Sherlock Holmes né una Miss Marple né un Hercule Poirot, anche se gli indizi sono talmente ingannevoli che un investigatore non potrebbe starsene con le mani in mano. Fatto sta che il mistero si attorciglia attorno alla domanda-tormentone del preludio elettorale europeo: chi davvero, nel Pd, vuole (ha voluto? vorrà?) l’accordo con i Cinque stelle? Chi davvero punta sul futuro, eventuale scambio di amorosi sensi o quantomeno ragionevolezze tra inconciliabili alfieri di visioni del mondo opposte? Chi addirittura mira a un’alleanza che finora, ma non da tutti, era ritenuta blasfema nel partito? E quanto conta l’influenza di alcune personalità, nel diffondersi persistente e sotterraneo della pazza idea sintetizzabile con la domanda “e se ci provassimo davvero”? Soprattutto: chi è il principale indiziato di reale operatività sul campo? Si addensano infatti all’orizzonte la paura e la voglia (ci scusi Claudio Baglioni per la citazione a sproposito del “Piccolo grande amore”) di fare ciò che non si è mai riusciti a fare (per fortuna o purtroppo a secondo dell’occhio di chi guarda, vedi il fallito “scouting” di Pierluigi Bersani nel 2013), ma che sotto sotto qualcuno all’interno e all’esterno del partito continua a vedere come unica e finale soluzione all’espansionismo grillino-populista. Ma quelle parole – “dialogo tra sinistra e M5s” – non possono al momento essere maneggiate senza conseguenze. Appaiono infatti, a seconda dei punti di vista, come l’arma fumante (della serie: non si infierisce così su un partito che un anno fa ha visto trionfare i populisti di Lega e Cinque stelle, sbeffeggiato dai Cinque stelle) o come la panacea per tutti i mali (della serie: solo così si riportano le pecorelle smarrite all’ovile elettorale).
Il dialogo con il M5s, la tentazione da smentire (ma anche seguire). E l’entourage “bettiniano” del neosegretario
Bettini parla, Zingaretti ascolta (ma ultimamente si smarca dalla linea dell’appeasement, ed ecco Calenda capolista)
Ed è a questo punto che entra (rientra) in scena Goffredo Bettini, già europarlamentare pd ma soprattutto, a seconda dei casi, già demiurgo, padre politico, braccio destro ufficioso o consigliere di Nicola Zingaretti e, molto prima, di Walter Veltroni, Francesco Rutelli e Ignazio Marino (e qui si apre un altro giallo, ché Bettini, da tutti visto come il creatore politico di Marino, si è poi leggermente smarcato dalla scelta ultima del sindaco marziano, poi defenestrato dal Pd medesimo, apparendo kingmaker sì, ma un po’ riluttante). Ed è vero che Bettini ha smentito di essere la mente della “pazza idea Pd-M5s” in un’intervista al Fatto (giornale che, proprio per via dell’aperturismo dell’eurodeputato uscente, sembra ultimamente tenere Bettini in grande considerazione, dopo la metaforica quarantena post caso Marino). “Il Movimento cinque stelle”, diceva dunque Bettini al Fatto non più tardi di un mese fa, “non ha retto la prova del governo e per questo sta perdendo voti e si sta frantumando all’interno fra le varie anime. Con esso non possiamo fare alcuna alleanza politica, anche se ci fosse la crisi di governo”. E però, nella stessa intervista, ha anche ribadito il concetto che sta alla base di ogni azzardo passato (e futuro, ché nessuno può mai dire mai) in tema di rapporti tra Pd e M5s: “Possiamo promuovere un campo ampio che tolga spazio alla Lega e accolga i tanti elettori delusi da Di Maio o che si sono astenuti. Questo non si fa rispondendo agli insulti con altri insulti, con l’arroganza, la boria di chi ha sempre ragione, l’umiliazione di chi oggi avverte di aver sbagliato”. E ancora, a proposito delle parole di Massimo Cacciari, il filosofo che, sul Fatto, su Micromega e in tv ha sostenuto apertamente la tesi dell’alleanza Pd-M5s “per arginare il salvinismo”: “Cacciari”, dice Bettini, intervistato da Wanda Marra, “parte da un’idea che ripeto anche io da mesi: la Lega e i Cinque stelle sono due forze molto diverse. La Lega è una destra risorgente inquietante e illiberale. Il M5s è l’antipolitica, con dentro tutto e il contrario di tutto. Lo sfarinamento del Movimento di Grillo ci impone, ancora di più, di capire le ragioni di chi l’ha votato e di andarci a riprendere il nostro popolo che ci ha abbandonato”. E, a conti fatti, tra la smentita e la conferma la distanza non pare poi così incolmabile, motivo per cui, specularmente, non tutti, nel Pd, credono fino in fondo a Zingaretti quando Zingaretti smentisce di aver anche soltanto immaginato l’intesa cordiale futura con i Cinque stelle (Cinque stelle con cui, da governatore del Lazio, Zingaretti ha inizialmente dialogato, fino al parziale raffreddamento pre-primarie del Pd). “Non farò mai alleanze col M5s. Lo dico a chi mi accusa di governare con loro”, diceva il non ancora segretario poco più di un mese fa, aggiungendo però subito la frase “cavallo di Troia” delle possibili intenzioni aperturiste: “I nostri ex elettori che hanno scelto il M5s li dobbiamo riconquistare”. E siccome Zingaretti non ha mai nascosto la riconoscenza verso il “maestro” Bettini (ultima dichiarazione in ordine di tempo a Sette, intervistato da Vittorio Zincone: “La persona a cui ho rubato di più è stato Goffredo Bettini: mi ha sempre spinto a essere una persona libera”), è a Bettini che guardano quelli che cercano di individuare la matrice della nuova ondata di riflessioni sul tema del “non si può criticare e basta” quando si parla di Cinque stelle. (Dall’altra parte ci sono quelli che vedono nel casaleggismo un muro invalicabile: come si fa a dialogare con chi vorrebbe depotenziare il Parlamento a favore dell’utopia distopica orwelliana e del clic dal basso, ma anche dall’alto – vedi Casaleggio associati?).
Sia come sia, e per quanto il neo segretario del Pd sottolinei a intermittenza quel “non voglio allearmi con i Cinque stelle” che i suoi nemici interni considerano provvisorio, e per quanto Bettini ribalti la pazza idea in volenteroso sforzo di comprensione in vista del “recupero elettori smarriti”, c’è chi pensa che in futuro Zingaretti dovrà combattere la tentazione di seguire il suo mentore lungo la via del dialogo. E non sarà facile. Prima di tutto perché Bettini è legato al neosegretario da mille fili che scendono giù giù fino agli albori del “romanzo di formazione” zingarettiano (quando Zingaretti, negli anni Ottanta, diventa segretario della Fgci, Bettini è già da tempo punto di riferimento del Pci poi Pds romano, di cui era stato segretario e in cui aveva cominciato giovanissimo la carriera politica, a partire dalla storica sezione di Via dei Frentani). E però i fili che legano i due risalgono anche fino a oggi: molti degli uomini che circondano Zingaretti condividono con lui la lunga conoscenza con Bettini: da Andrea Cappelli, storico portavoce di Zingaretti (tuttora alla Regione) a Marco Miccoli, già segretario cittadino del Pd, e ora capo della comunicazione e coordinatore delle iniziative politiche del neosegretario, passando per Michele Meta, ex deputato pd e “bettiniano” storico (con radici solide anche nelle aree Orlando e Franceschini), fino a Mario Ciarla, consigliere regionale zingarettiano con lunga esperienza sul territorio. La discendenza bettiniana appare in controluce, ma lo Zingaretti neosegretario al tempo stesso sottolinea la presa di distanza parziale dalla linea del mentore (vedi la decisione di far correre l’ex ministro Carlo Calenda, non certo un fautore del dialogo con i Cinque stelle, come capolista nel nordest alle Europee), mentre Bettini, nell’annunciare l’intenzione di non ricandidarsi al Parlamento Ue, ha detto anche di voler “riprendere in mano i libri” per approfondire “i tanti problemi che scuotono la sinistra in Italia e nel mondo”, sereno proprio per via dell’elezione alla segreteria di Zingaretti, “persona cara a me da tutta una vita, un segretario che ha dimostrato di avere un grandissimo consenso e di poter coniugare la capacità unitaria con l’indicazione di una netta linea politica di svolta”. Quanto sarà ascoltato o non ascoltato Bettini dal “figlio” politico Zingaretti?
Il Bettini “idolo” del Fatto per l’aperturismo verso l’ascolto di chi ha votato il M5s, e il Bettini demiurgo riluttante di Marino
Vicino a Rutelli e a Veltroni, “discepolo” di Ingrao, colonna del Pci romano, europarlamentare non sempre allineato al Pd
Per ora, dice un osservatore di mondi romani, “Bettini sembra volersi collocare nel ruolo del padre che riflette, viaggia, magari ispira indirettamente, una sorta di Pietro Ingrao adattato ai tempi”, tanto più che Ingrao e Bettini si sono a lungo scambiati lettere, e l’epistolario è oggetto di un libro di Bettini (“Un sentimento tenace, riflessioni sulla politica e sul senso dell’umano”, ed. Imprimatur, 2013). Perché si fa politica? è la domanda sottesa. Risposta comune Ingrao-Bettini: “L’insopportabile sofferenza nell’animo alla vista di tante ingiustizie e violazioni di diritti umani nei confronti dei più deboli”. Anche se Ingrao individua la molla iniziale dell’impegno nel desiderio di reagire all’avanzata del nazifascismo e Bettini nel disagio di fronte “all’oppressione sociale dei più deboli” e “al mondo del benessere che produce solo malessere”. Coincidenza non casuale, l’insegnamento di Ingrao a Bettini – “tu sai che il solo, vero consiglio che ho cercato di darti è stato: sforzati di essere libero” – è lo stesso che Zingaretti dice, come si è visto, di aver ricevuto da Bettini.
Intanto, i cercatori di indizi sul tema dell’aperturismo anche non esplicito verso i Cinque stelle puntano la torcia in direzione di alcuni voti al Parlamento europeo, quelli in cui Bettini ha dissentito dalla maggioranza del Pd: all’inizio di luglio, quando i deputati europei del Movimento cinque stelle e della Lega hanno votato compatti contro il mandato negoziale proposto dalla commissione giuridica dell’Europarlamento sulla direttiva sui diritti d’autore nel mercato unico digitale, e il Pd si è spaccato (alcuni eurodeputati hanno votato contro, Bettini si è astenuto). E di nuovo a fine gennaio, a proposito della crisi venezuelana, quando il Pd ha votato in maggioranza a favore del riconoscimento di Juan Guaidò, e Bettini si è astenuto.
Ma è un altro libro di Bettini, l’ultimo (“Agorà”, 2018, ed. Ponte Sisto) che fornisce forse l’indizio più interessante. Si ripercorre infatti, nel saggio, la genesi del M5s e del consenso per la Lega di Matteo Salvini e si individuano, come “colpevoli”, il Pd e la sinistra che non hanno “sufficientemente contrastato i molti anni di dominio del pensiero ultraliberista” e il conseguente dilagare di “solitudine, ingiustizie, povertà”. Soluzione proposta da Bettini: “Un cambiamento dell’asse del pensiero critico e della costruzione di un nuovo soggetto politico…Il Pd si deve trasformare in un partito a rete, aperto, ma in grado di suscitare partecipazione, discussione e decisione politica dal basso. E’ il partito delle Agorà”. Già nel 2011 Bettini si era occupato, in “Oltre i partiti” (ed. Marsilio), del cosiddetto “campo largo”, non a caso parola chiave della nuova segretaria zingarettiana: campo unitario, diceva già otto anni fa il mentore del neosegretario; campo “mobile al suo interno, privo di steccati partitici o ideologici, collaborativo e solidale”. Dal basso? Agorà? Qualcosa risuona, lungo la linea-non linea comune Zingaretti-Bettini, alle orecchie dei fautori del ponte proteso verso il Movimento che voleva aprire il Parlamento come una scatola di tonno.