I peggioristi. Cosa rende il populismo italiano diverso da tutti gli altri
I nemici sono la democrazia liberale, lo stato di diritto, l’economia di mercato, i diritti civili. Appunti su un unicum politico
L’ultimo segretario del Pci a definirlo Partito della classe operaia fu Alessandro Natta. Il successore di Berlinguer si definiva comunista illuminista e giacobino. Il suo illumismo era infatti, come quello della stragrande maggioranza della sinistra italiana, essenzialmente giacobino. Molto Rousseau, poco o nulla Voltaire. Quando cadde il muro di Berlino, novembre 1989, ormai segretario Achille Occhetto, la sua reazione fu: “Ha vinto Hitler”. Tre giorni dopo Occhetto annunciò il cambiò il nome del Pci e da allora, credo, nessun dirigente del maggior partito della sinistra italiana ebbe più il coraggio di far riferimento al Pci come al “partito della classe operaia”.
Naturalmente tutti i dirigenti comunisti che nel corso dei decenni avevano usato quel termine sapevano benissimo che gli operai italiani votavano anche altri partiti. Quello che intendevano, e volevano fare intendere, era che il Pci e soltanto il Pci rappresentava i veri interessi della classe operaia. La nota egemonia gramsciana questo era in pratica. Era il partito che filtrava la volontà generale attraverso i mille rivoli confusi contraddittori e dispersi delle volontà particolari espresse dagli operai in carne ed ossa e magari anima.
Questo è il vero antecedente culturale del populismo italiano. Un mito unificante, la trasformazione di cittadini ed elettori in massa da guidare verso il riscatto. Democrazia popolare, era il nome della meta. Quanto il populismo americano è (o era) colorato, libertario, federalista, conservatore, anarchico tanto quello europeo è cupo, nero rosso o tonalità intermedie, rossobrune. È il Volk di Hitler (“Ein Volk, ein Reich, ein Führer”) o la dittatura del proletariato dell’Unione sovietica.
Non fu populismo in Italia la demagogia sempliciotta dell’Uomo Qualunque, tanto meno il protagonismo
La sinistra che Berlusconi continuava a definire comunista intanto aveva abbandonato la Classe al suo destino evanescente e aveva scoperto a sua volta il popolo. Ma non il popolo come surrogato della Classe, non il “mito”, ma il mite popolo berlingueriano della sinistra, ormai laicizzato e alla ricerca non di una egemonia ma di un programma politico vincente. Purtroppo la scelta della dirigenza postcomunista fu quella di trasformare il Pci non tanto in un partito radicale di massa (come temette Augusto Del Noce), ma in un partito moralista di massa. Fu in nome del Popolo della sinistra che venne assolta da ogni peccato e poi eretta a modello etico-politico la “diversità” berlingueriana (al netto delle provvigioni russe sui traffici commerciali con l’est Europa, o della partecipazione della Lega delle cooperative alla spartizione delle tangenti). Fu il Popolo viola che se ne armò, nella imperversante campagna contro il Caimano, che anticipò il fulcro del vaffanculismo grillino. Né il popolo berlusconiano della libertà, né il popolo Pci-Ds-Pds-Pd del progresso trovarono insomma quello che cercavano.
Parentesi
A cosa servono le grandi guerre? A ridefinire i confini? No, quelle sono cruente feroci disumane guerricciole, come dire, condominiali. Servono allora a rinnovare il parco macchine (da guerra)? Quelli sono tagliandi, non vere guerre, anche se durano magari decenni perché la produzione non deve fermarsi. Le grandi guerre servono a ridefinire le egemonie geopolitiche. La prima guerra mondiale aveva questa finalità, ma le alleanze erano confuse da una parte e dall’altra, e non ci riuscì. E allora si giocò un secondo tempo, quello sì decisivo. Finì in Europa l’età dei nazionalismi, e quindi delle ambizioni allo “spazio vitale” che si erano abbozzate fra il ’14 e il ’18 e che si erano poi meglio definite nel fascismo e nel nazismo, trionfarono le democrazie da un lato e il totalitarismo anti-e-fascista dall’altro.
L’Europa è stata l’iniziatrice e il principale campo di battaglia del sanguinario Novecento. Sarà bene tenerlo a mente ora che si è scatenata la terza grande guerra per l’egemonia politica mondiale. Gli schieramenti si vanno definendo dietro il velo dell’abitudine a vivere nella bolla democratica. Usa, Russia e Cina ne sono i protagonisti, l’Europa, che non ha un governo ma una “governance” buona ancora nei tempi normali, non se ne è neppure accorta, nonostante sia di nuovo il principale campo di battaglia. È qui in Europa che si giocano oggi i destini della democrazia e della pace. Ed è qui qui in Italia, nella nostra amata penisola, tornata a essere la portaerei del Mediterraneo, che si sta giocando la prima grande battaglia della terza guerra mondiale. I partiti “populisti” italiani hanno già scelto con chi stare, o con la Russia (da tempo) o con la Cina (appena se ne è presentata l’occasione), e magari in questa fase con entrambe. L’America, perfino l’America di Trump, se ne è finalmente accorta. L’Europa ha per ora sollevato solo il sopracciglio. Già qualcosa: dovremo di questo forse ringraziare la spregiudicatezza del vicepremier Di Maio e la sua Via delle Arance intrecciata alla Via della Seta di Mister Ping.
Il popolo non esiste
Ricordate quella frase di Margaret Thatcher che tutti citano a sproposito per contestare il “brutale egoismo neoliberista”: “La società non esiste, esistono gli individui”? Naturalmente Thatcher non negava l’esistenza della società e delle responsabilità verso di essa, tutto il contrario. La frase intera dice: “Penso che abbiamo attraversato un periodo in cui a troppi bambini e persone è stato insegnato: 'Ho un problema, è compito del governo occuparsene' e quindi scaricano i loro problemi sulla società, e chi è la società? Ci sono singoli uomini e donne e ci sono famiglie, e nessun governo può fare nulla se non attraverso le persone. È nostro dovere prenderci cura di noi stessi e poi del prossimo e la gente ha troppo in mente i diritti senza i doveri… Non esiste una cosa come la società”.
La sua frase è stata usata per rovesciarne il pensiero, proprio come accade oggi all’art. 1 della Costituzione, che i populisti ricordano così: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo” omettendo come la frase continua: “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Il popolo non esiste, lo sanno tutti, ma lo vogliono credere i gonzi e lo vogliono far credere ai gonzi i demagoghi di destra e i giacobini di sinistra. Ora è il turno in Italia dei due “bravi ragazzi” (M. Scorsese, 1990) che guidano il M5s e la Lega.
Il governo del popolo, l’avvocato del popolo, la manovra del popolo
Il populismo italiano per il suo carattere fasciocomunista rende futile ogni distinzione fra la Lega di Salvini (che del vecchio partito di Bossi e Maroni conserva soltanto il nome, i debiti e forse qualche porzione di “tesoretto”) e il movimento roussoviano di Casaleggio e Di Maio. Qualunque esponente politico o sindacale o accademico liberaldemocratico, che creda alla concorrenza e allo stato di diritto, che difenda gli interessi degli imprenditori e dei lavoratori senza atteggiamenti luddisti o classisti, che propugni una politica delle riforme economiche e istituzionali in chiave europea diviene, come è accaduto di recente a Marco Bentivogli (“servo dei padroni”) , o in altro contesto ai corrispondenti italiani di George Soros (“usuraio”) oggetto del fanatismo dei propagandisti della svolta dirigista, giustizialista, protezionista, clericale del governo Casaleggio-Di Maio Salvini-Fontana.
Questo populismo – a differenza di quello americano e di tutti gli altri generi di populismo di destra o di sinistra in giro in Europa nel dopoguerra prima del loro incontro col sovranismo – ha come nemico mortale la democrazia liberale, la rappresentanza parlamentare, lo stato di diritto, l’economia di mercato, e last but not least i diritti civili. È diverso dagli altri populismi, è molto peggio.