Perché quella di Salvini sulla flat tax è una battaglia persa
Nicola Rossi, economista e presidente dell’Istituto Bruno Leoni, ci spiega tutte le distorsioni generate dal progetto fiscale del vicepremier leghista
Matteo Salvini assicura che il governo, sulla flat tax, troverà una sintesi, formula criptica che tanto somiglia a quel ‘salvo intese’ a suggello di provvedimenti su cui il governo non trova una quadra, dunque rinvia. La soluzione la trova Luigi Di Maio quando dichiara, urbi et orbi, la personale preferenza per una "flat tax progressiva", qualunque cosa significhi. Con Nicola Rossi, economista e presidente dell’Istituto Bruno Leoni, si parte proprio dalla sortita dimaiana, dall’ossimoro di una tassa "piatta", per definizione, eppure progressiva. "Non riesco a interpretare una simile espressione perché mi scappa da ridere - confessa il professore al Foglio - La verità è che la traduzione italiana di flat tax è ‘meno tasse’".
La Lega propone un’aliquota del 15 per cento per le famiglie con redditi fino a 50mila euro, una misura da dodici miliardi di euro; intanto, in vista della manovra 2020, bisogna trovarne ventitré per scongiurare l’aumento Iva fissato dalle clausole di salvaguardia. "Le ricette annunciate in materia fiscale ricalcano quelle degli ultimi vent’anni e non hanno niente in comune con la flat tax. Per quanto Salvini si affanni a convincerci del contrario, la flat tax, se non coincide con una aliquota unica uguale per tutti, semplicemente non esiste. Tale misura rientra in un piano generale di contenimento dell’operatore pubblico nell’economia. Non mi pare che il governo si muova in questa direzione".
Sembra essere tornato in voga lo stato forte. "Come in passato, si procede con una riduzione fiscale a debito crescente. Quando Salvini parla di flat tax intesa come taglio delle tasse per i contribuenti minori applica una logica identica agli ottanta euro di Matteo Renzi che due milioni di contribuenti, alla fine, hanno dovuto restituire". Seguendo il suo ragionamento, il M5s ha portato a casa il reddito di cittadinanza mentre il cavallo di battaglia leghista resta nel libro dei sogni. "Le parole hanno un senso. Ridurre le tasse per le partite Iva fino a 75mila euro non significa introdurre l’aliquota unica". Laddove applicata, la tassa piatta ha generato vantaggi. "In primo luogo, essa elimina l’opacità tipica del nostro sistema fiscale: ognuno sa quanto deve pagare e quanto pagano gli altri. Esistono poi i benefici ipotetici che dipendono dalle modalità applicative".
In diversi casi, il calo dell’aliquota ha aumentato il gettito fiscale e scoraggiato l’evasione. "Tali effetti sono possibili nel senso che non sono scolpiti nella pietra. Penso che in Italia, a date condizioni, potrebbero verificarsi, senza pretendere di eliminare del tutto l’evasione che, a un livello fisiologico, è ineliminabile. Certamente il fisco non sarebbe più visto come un nemico al quale si fa volentieri uno sgambetto". Per la Lega il percorso verso la flat tax può essere graduale. "I paesi dell’ex blocco sovietico, all’indomani della caduta del Muro, hanno avuto la possibilità di riscrivere le regole del gioco di sana pianta. I paesi come il nostro, che vengono da una tradizione di scaglioni a più aliquote, stanno optando gradualmente per una rimodulazione basata su meno scaglioni e meno aliquote. Da trent’anni la direzione è questa, cambia soltanto la velocità di navigazione: se si ha alle spalle una storia di imposizione fiscale progressiva si usa gradualità; se invece si viene da un cambio di regime diventa più facile modificare radicalmente le regole".
Magari, con la politica dei piccoli passi, ci arriveremo anche noi. "Abbiamo perso la nostra occasione: se il governo si fosse dato questo obiettivo, lo avremmo portato a segno nel giro di due o tre anni". E dire che è il provvedimento bandiera di Salvini. "La Lega ha perso questa partita per due motivi: da una parte, si ostina a sostenere l’idea di una flat tax a debito. Se si tratta di una riforma vera, essa deve essere sistemica e non può prescindere da un robusto taglio delle spese fiscali, da una sforbiciata della miriade di trattamenti di favore attualmente previsti, da una spending review incisiva. Immaginare una flat tax a debito significa non volerla fare. Dall’altra parte, l’aliquota unica doveva essere resa coerente con il reddito di cittadinanza per evitare i casi di persone abbienti che intascheranno il sussidio e di incapienti che ne saranno esclusi. Le due misure dovevano essere concepite insieme, invece si è preferita una serie di interventi erratici che rendono il nostro sistema ancora più iniquo e incomprensibile". Il segretario della Cgil Maurizio Landini è tornato a parlare di patrimoniale. "Di questo si potrà discutere solo dopo che lo stato avrà dismesso per intero le sue proprietà e partecipazioni per abbattere il debito. Soltanto a quel punto si potrà ipotizzare di chiedere qualcosa a cittadini già abbondantemente vessati per tenere in piedi aziende decotte". I due alleati di governo si beccano ogni giorno, come in un gioco di ruoli che alla lunga stufa. "Avendo impostazioni culturali opposte, è naturale che i due litighino su ogni dossier. Nessuno ha votato questo governo". Che intende? "Se il progetto di governare uniti fosse stato reso noto sin dal principio, forse gli elettori dell’una e dell’altra forza avrebbero compiuto scelte diverse. La continua ricerca di un minimo comune denominatore sta portando a un compromesso sempre più al ribasso. Le cose, buone o cattive che siano, si fanno male".