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Casini ci spiega i casini del populismo su politica estera e banche

David Allegranti

“Abbiamo un governo di dilettanti allo sbaraglio”. E sulla commissione d’inchiesta: “E’ l’antimafia bancaria”

Roma. Pier Ferdinando Casini è sufficientemente esperto per passare con dimestichezza, nel corso di una conversazione, dalla politica estera agli affari interni senza perdere il passo. Intanto partiamo dalla politica estera del governo gialloverde, vero tallone d’Achille insieme all’economia, con una premessa: “La politica estera oggi non è più come prima, un comparto esterno, una proiezione disarticolata rispetto a quel che accade all’interno di un paese. Politica estera e politica interna sono la stessa cosa. Il mondo è più complesso e meno rassicurante rispetto a 20 anni fa. Fino agli anni Novanta c’era un sistema che andava in automatico, con la caduta del Muro di Berlino siamo entrati in una fase complessa. Oggi abbiamo da un lato un gigante dai piedi d’argilla come la Russia, che in termini militari cerca di governare il vuoto nel Mediterraneo lasciato dagli Stati Uniti (anche per la loro mutata condizione energetica) e recupera una sua imperialità che aveva perso da Eltsin in poi. Dall’altro c’è la sfida cinese, la principale”. I cinesi, con la loro “one belt one road”, sottolinea Casini, “stanno lanciando un’Opa amichevole sul mondo. Sono tornati con una base militare in Africa, a Gibuti, come non facevano da tempo. Hanno messo le fiches su alcuni paesi deboli, europei, come la Grecia, vedi l’acquisizione del porto del Pireo. Oggi in Africa e in Europa hanno un peso crescente”. Il mondo è diventato più complesso, insomma, per molte ragioni. Ecco, in questo contesto “noi abbiamo un’amministrazione politica di dilettanti allo sbaraglio. Dopo i primi mesi sono diventati un po’ più riflessivi, ma all’inizio sono stati disarmanti nel loro pressappochismo”. Per dire, “nel finale della scorsa legislatura qualcuno dei 5 stelle propose Maduro come mediatore in Libia. Ed è di poche settimane fa la conferenza di Palermo, un’esibizione imbarazzante di velleitarismo”. L’elenco delle fragilità italiane è dunque lungo e tutto questo “fa sì che gli americani siano profondamente irritati con la nostra amministrazione. Siamo l’unico paese occidentale che sul Venezuela si è schierato dalla parte della Russia e della Cina. Non meravigliamoci poi se li rivediamo reimbarcarsi in Libia e dire goodbye”.

   

Anche in Europa non andiamo granché, dice Casini, perché “siamo totalmente irrilevanti. Abbiamo polemizzato con tutti, dimostrandoci inaffidabili. Francia e Germania, nel frattempo, vanno avanti da sole e se c’è da portare qualcuno al tavolo vedrete che il convitato sarà la Spagna, non l’Italia. Ci siamo dimostrati ridicoli nel corso della trattativa sulla legge di Stabilità. Siamo partiti lancia in resta salvo poi piagnucolare nelle anticamere di Juncker”. A proposito di piagnucolii, la maggioranza si lamenta del sistema bancario. E’ marcio, dicono Lega e Cinque stelle, che vogliono una nuova commissione d’inchiesta sulle banche. Casini, che ne ha presieduta una nella scorsa legislatura, vede un rischio populismo sul tema delle banche? “Guardi, anzitutto c’è una questione di populismo istituzionale, perché le idee di riforma che vengono coltivate mirano sostanzialmente a mettere in ginocchio il Parlamento. Proporre gli istituti referendari come una sorta di camera di compensazione parallela e alternativa al Parlamento è un elemento che introduce nel nostro sistema delle perversioni enormi. Indebolisce l’organo legislativo, già sfidato con la decretazione d’urgenza dall’esecutivo”. Ma il vero allarme è l’uso “smodato, dissennato, delle commissioni di inchiesta. Se lei guarda gli ordini del giorno del Parlamento non c’è settimana in cui non si discuta di una nuova commissione d’inchiesta, che per sua natura ha i poteri dell’autorità giudiziaria e che quindi va maneggiata con eccezionale cura. Come fanno gli americani. Quando il Congresso avvia una commissione d’inchiesta ne parla tutto il mondo. Qui invece si fa una commissione d’inchiesta per tutto. E’ un modo di procedere irresponsabile. Se poi lo si applica al sistema bancario, è ancora più preoccupante. Io ho votato contro l’istituzione di questa commissione, Pd e Forza Italia invece hanno votato a favore. Le responsabilità di questo giustizialismo strisciante ce le hanno anche gli altri, non solo la maggioranza”. Nasce quindi questa nuova commissione d’inchiesta sulle banche, “non come quella a me affidata su 4-5 banche in dissesto conclamato, tant’è che a parte i liquidatori e i risparmiatori noi abbiamo sentito sopratutto i magistrati. No, si fa una commissione su tutto il sistema bancario, istituzionalizzando dunque una sorta di antimafia delle banche, basata sulla presunzione che il sistema sia marcio e che noi lo dobbiamo salvare. Per fortuna sul tema dei risparmiatori ha prevalso la linea Tria. Perché un conto sono i truffati, i poveri indifesi ai quali sono stati venduti prodotti tossici, un altro gli speculatori che speravano di fare tredici e che ci hanno rimesso i soldi. Se risarciamo tutti senza distinzione questo diventa il paese di Pantalone”. Peraltro, aggiunge Casini, “questi ragazzi hanno poca memoria. Il sistema ha prodotto marciume perché c’era l’invadenza della politica sulla gestione delle banche. Il legislatore, da Ciampi in poi, si adoperò per evitare queste patologie. Adesso invece entriamo nel sistema a piene mani. Ma d’altronde come ci si può meravigliare di questo se siamo in un paese in cui Bazoli, che ha dato un contributo enorme a salvare e a bonificare il sistema bancario, è considerato in un servizio televisivo quasi una succursale della P2?”.

    

E dell’opposizione, segnatamente il Pd, Casini che pensa? Quanto si sente vicino o lontano a Zingaretti? “Le vorrei rispondere fra qualche mese. Intanto le dico che Zingaretti è una brava persona e lo schema che ha in mente, comprensibile, è quello del ‘primum vivere’. Pensa che sia giusto riportare nel Pd il mondo di sinistra che era uscito. Per cui il suo problema non sono i moderati come me, ma riportare all’ovile gli altri. E’ una tesi comprensibile a breve scadenza e gli può consentire di fare un buon risultato alle europee. Ma in termini di prospettiva politica, regala alla destra il paese per i prossimi anni. Ormai i voti moderati che prese Renzi si considerano quasi un impiccio, un ingombro sulla strada salvifica che riporterà all’unione con Bersani e D’Alema. Ma i rischi sono multipli. Vorrei raccontarle un episodio. Quando ero in campagna elettorale a Bologna, dove ho vinto battendo Vasco Errani, ho incontrato un sindacalista della Cgil importante da cui ero andato per cercare voti. Lui, molto cortese, mi disse che non mi avrebbe votato e che avrebbe scelto Errani, pur riconoscendomi tante qualità. Bene, il giorno dopo le elezioni lo chiamai e e scherzando gli dissi: ‘Lei non mi ha votato e avrà votato Errani. Ma si è accorto che gli operai della Cgil hanno votato Lega e 5 stelle?’”. 

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.