Il notaio di Casaleggio sussurra ai ministri (e irrita i commercialisti)
Valerio Tacchini, già noto per aver sovrinteso al televoto dell’“Isola dei famosi”, gode di un discreto credito presso Alfonso Bonafede
Roma. Come “certificatore” dei voti di Rousseau, il suo ruolo è abbastanza evanescente, stando alle “forti perplessità” espresse dal Garante per la privacy circa la sua attività di verificatore di ultima istanza dei risultati del voto online potenzialmente manipolabili che restano per giorni “esposti ad accessi ed elaborazioni di vario tipo”, prima che lui arrivi puntualmente sul palco di turno a dissigillare la fatidica busta con recitata solennità. Come suggeritore di ministri, invece, Valerio Tacchini sembra essere abbastanza attivo. E non solo in virtù della poltrona che il M5s gli ha riservato, dopo la sua non esaltante performance elettorale alle scorse politiche, al ministero dei Beni culturali. Il 56enne milanese, già noto per aver sovrinteso al televoto dell’“Isola dei famosi”, a quanto pare gode di un discreto credito anche presso Alfonso Bonafede, almeno a prestare fede alle confidenze che lo stesso Tacchini, nei giorni scorsi, ha concesso ad alcuni parlamentari della maggioranza, quando ha spiegato che anche lui, come altri suoi colleghi, si era prodigato in consigli al ministro della Giustizia.
Il tema era lo stesso che da ormai una settimana anima le polemiche che rimbalzano tra Montecitorio e Via Arenula, e cioè un emendamento inserito, per volontà concorde di Lega e M5s, nella proposta di legge delle semplificazioni fiscali. Poche righe volte a chiosare l’articolo 2556 del Codice civile, e a permettere che, “in caso di scrittura privata”, anche avvocati e commercialisti possano procedere all’“autenticazione della sottoscrizione” e al “deposito dell’atto”. Prerogative, entrambe, che sono ad oggi riservate esclusivamente ai notai. I quali, ovviamente, si sono subito attivati, attraverso canali più o meno informali, per dissuadere la maggioranza gialloverde dal proseguire lungo questa strada. Inviti però andati quasi tutti a vuoto: un po’ perché entrambi i partiti sono storicamente contrari ai “privilegi” degli ordini professionali, e un po’ forse anche perché, sussurrano i maligni, tra i firmatari dell’articolo i commercialisti e gli avvocati erano parecchi (Gusmeroli, primo proponente, Centemero e Pagano della Lega, contabili come i loro alleati grillini Currò e Trano, oltre alle avvocatesse Cavandoli, del Carroccio, e Martinciglio, del M5s). Ne nasce così una contrattazione coi rappresentanti dei notai, si arriva a una rimodulazione della proposta che accoglie in parte le osservazioni di questi ultimi. Sembra insomma che tutto vada risolvendosi quando, il 4 aprile scorso, nella commissione Finanze che sta discutendo la legge sulle semplificazioni fiscali, arriva da Via Arenula il parere contrario. Lo staff di Bonafede blocca tutto spiegando che mantenere “l’obbligo di deposito dei contratti [...] a carico del solo notaio rogante o autenticante”, e non estenderlo ad altre professioni, “appare l’opzione maggiormente efficiente”.
“E noi lo votiamo lo stesso”, sono sbottati subito i deputati grillini, protestando contro Via Arenula. Ed è qui che è intervenuto il notaio Tacchini. Già candidatosi al Senato nel 2018, finito tra i non eletti e subito ricompensato dei molti servigi resi a Davide Casaleggio con un posto da consulente del ministro Bonisoli, Tacchini nei giorni scorsi ha confidato di essere stato anche lui tra i notai che hanno evidenziato a Bonafede i possibili rischi della riforma. “Potrebbero esserci anche problemi con l’antiriciclaggio”, racconta chi ci ha parlato. In ogni caso, ieri la Finanza ha tentato l’ultima carta: l’emendamento è stato ritirato, così da scongiurarne la bocciatura, e verrà presentato, seppure riformulato, in Aula. L’idea sarebbe quella di estendere la qualifica di pubblico ufficiale a commercialisti e avvocati solo nei casi di affitti (e non anche in quelli di cessioni), dove non è comunque necessario riportare i contratti nel registro immobiliare. “Proveremo insomma a lavorare di fioretto col ministero della Giustizia”, confessa il grillino Currò. “E se non dovesse bastare, useremo il piccone”. E chissà se a quel punto interverrà di nuovo, il notaio che sussurra ai ministri.