Elisabetta Trenta (foto LaPresse)

Così la crisi libica fa deflagrare lo scontro tra la Trenta e i generali

Valerio Valentini

Schizofrenie geopolitiche, congelamenti degli investimenti. Sulla battaglia tra le Forze armate interverrà (forse) il Quirinale

Roma. Alla fine, il vertice che avrebbe dovuto scongiurare la minaccia è stato convocato quando la minaccia andava già svanendo, impantanate com’erano, le truppe di Khalifa Haftar, a decine di chilometri da Tripoli. E così il ritardo con cui Giuseppe Conte ed Elisabetta Trenta si sono decisi ad affrontare la grana libica – con l’unico risultato di allestire, spiegano a Palazzo Chigi, un “gabinetto di crisi che sarà attivo fino a quando la crisi libica non sarà rientrata”– è andato ad alimentare un malessere che ormai, tra i vertici dell’esercito, è diffuso ed evidente. “D’altronde se la Trenta pensa bene di andarsene in Gibuti, mentre parte l’escalation militare di fronte a noi nel Mediterraneo...”, si sfogano nei corridoi del ministero di Via XX Settembre, dando nuova sostanza a un’insofferenza difficile da nascondere.

 

Screzi irrisolti, divergenze lasciate incancrenire, fino alla deflagrazione della guerriglia tra le diverse Forze Armate su questioni apparentemente marginali. Sull’ultima, a Palazzo Chigi stanno valutando di chiedere perfino una mediazione da parte del Quirinale, per sbloccare una baruffa grottesca tra la Marina e l’Aeronautica. L’una e l’altra, del resto, e ciascuna con la sua buona dose di ragioni, reclamano l’assegnazione dei nuovi F-35B, quelli di ultima generazione a decollo orizzontale: la Trenta ha evitato a lungo d’intervenire, salvo poi prendere dichiaratamente le parti della Marina e scrivendo perfino una lettera di ammonimento al generale Enzo Vecciarelli, capo di stato maggiore della Difesa che al vertice dell’Aeronautica è stato fino all’ottobre scorso, prima di lasciare il posto ad Alberto Rosso, che è finito in questi giorni pure lui, manco a dirlo, con l’ingaggiare un nuovo scontro col ministro. 

 

E’ successo in merito ai P.1HH, i droni realizzati da Piaggio Aerospace che il governo voleva acquistare anche per donare ossigeno a un’azienda sull’orlo del fallimento e che però ai piani alti dell’esercito ritengo assai scadente. “Otto pezzi di ferro”: li aveva liquidati così, Rosso, davanti alla commissione Difesa della Camera lo scorso 12 marzo. La stessa occasione in cui Rosso ha accennato anche a un altro problema: la sostituzione del sistema missilistico “Spada”, che nel 2021-2022 diventerà obsoleto e per il quale, nonostante le molte sollecitazioni dei generali, il governo non ha ancora esplicitato “alcuna indicazione finanziaria” su come sostituirlo.

 

Cronache da un ministero in fiamme, o quantomeno in subbuglio. Ed è così che, quando Conte e la Trenta – annunciando un vertice a Palazzo Chigi, venerdì, a cui hanno preso parte anche il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi e il sottosegretario alla Presidenza Giancarlo Giorgetti – hanno fatto trapelare la loro volontà di chiedere un sostegno agli Stati Uniti (tutto da definire, ancora) per risolvere la crisi libica, dal fronte leghista hanno trattenuto a stento un moto di stupore. “Per carità, ben venga il rivolgersi a Washington – s’è sfogato coi suoi colleghi di partito il sottosegretario Raffaele Volpi – Peccato che questa richiesta la facciamo dopo avere ignorato certi avvertimenti americani sulla Via della Seta. Siamo sicuri che dietro a questa ansia di Xi di firmare il memorandum non ci sia l’interesse di Pechino su settori strategici del nostro paese, e non mi riferisco solo al 5g e a Huawei?”.

 

Del resto già giovedì, in un convegno romano organizzato da E&Y, alla presenza dei massimi vertici dell’Esercito, Volpi si era rivolto con inusuale schiettezza alla “signora ministro” che era seduta nella prima fila della platea, per affermare “la necessità di ribadire l’ancoraggio euro-atlantico dell’Italia”, criticando in modo neppure velato le recenti ammuine cinesi di Conte e Di Maio: “Non mi sembra che i francesi abbiano sottoscritto documenti d’intesa con Pechino, ma gli hanno venduto comunque 300 Airbus”, ha sbuffato Volpi, leghista di vecchia scuola democristiana a cui spesso si rivolgono anche le aziende del settore militare allarmate dal congelamento degli investimenti a opera del M5s. “L’industria della Difesa è un interesse nazionale”, ha sentenziato giovedì, ammiccando “all’amico Alessandro Profumo”, ad di Leonardo. “Ma certo bisogna rimuovere qualche tabù ideologico che non consente sempre di fare ciò che si vorrebbe”. E in quel momento la Trenta, osteggiata com’è dallo stesso Di Maio che in tempo di elezioni non vuole neppure sentire parlare di spese militari, ha trattenuto a stenta una smorfia d’inquietudine sul viso.