Se Salvini tifa Renzi
Perché il capo della Lega spera che il partito nuovo dell’ex premier nasca e attragga pure una parte di Forza Italia
Roma. Che l’un Matteo faccia il tifo per l’altro, dopo anni di sfacciato odio reciproco, appare in fondo come uno di quei bizzarri paradossi tipici della politica. E così, con ciclica cadenza, da qualche settimana a questa parte i parlamentari renziani sono tornati a sentirsi domandare, dai leghisti che incrociano lungo i corridoi del Palazzo, la solita domanda: “Ma allora, Matteo si muove o no?”. Il riferimento è a Renzi, ovviamente, e al vagheggiato progetto di sganciarsi dal Pd per creare un nuovo partito. “Per noi sarebbe una bella notizia”, ragionano gli uomini di governo del Carroccio. “Soprattutto perché, se si creasse questo nuovo polo centrista, potrebbe poi attrarre anche un parte di Forza Italia, magari quella della Carfagna e di Romani”. E a quel punto, è la conclusione del ragionamento, “il centrodestra esploderebbe senza che fossimo noi, a doverlo far saltare”. Ed è per questo che, dell’ex premier e dei suoi seguaci, i leghisti continuano a studiare le mosse.
“Fatica sprecata, al momento, visto che Renzi lo ha ripetuto decine di volte che lui resta nel Pd”, spiega Roberto Giachetti, che della mozione renziana è stato il leader nel corso dell’ultimo congresso. “Certo, se poi il nuovo corso di Zingaretti sfocerà in un’alleanza di qualsiasi forma col M5s, allora non saremmo noi a lasciare il Pd, sarebbe il Pd a sfasciarsi da solo”, chiosa però Enrico Borghi, pure lui renziano, col tono fatalista di chi sa che a volte le cose, in politica, accadono e basta.
Ed è anche per questo, in fondo, che a Salvini non dispiace affatto questa rinnovata, per quanto posticcia, apertura a sinistra da parte di Luigi Di Maio. “Lui lo fa per differenziarsi da noi in vista delle europee, certo”, riflettono i fedelissimi del ministro dell’ Interno. “Ma se nel M5s esaltano i partigiani, è più facile che nel Pd prenda coraggio chi il dialogo coi grillini vuole aprirlo davvero”.
E a questo punto, nel risiko che ne seguirebbe, il fallimento della ditta agevolerebbe la formazione del polo centrista di Renzi, attorno al quale potrebbe coagularsi quel malumore diffuso di chi dentro FI, un po’ in ordine sparso, non vuole continuare a inseguire la Lega, piatendo la benedizione di Salvini. Il quale, racconta chi ci parla quotidianamente, “non vuole tornare con Berlusconi, ma neppure vuole intestarsi la rottura del centrodestra”. Ed è per questo che spera che la crisi, nel fronte dei conservatori, sia indotta: “Noi non possiamo commettere il tradimento, dobbiamo semmai subirlo”, ha spiegato Giancarlo Giorgetti, giorni fa, a chi si lamentava per l’atteggiamento “bipolare” di Forza Italia in Parlamento, un po’ avversaria e un po’ fiancheggiatrice della maggioranza: “Subendolo”, del resto, sarebbe molto più facile anche detonare l’unica arma di ricatto che Berlusconi ancora conserva su Salvini, e cioè il ritiro del sostegno alle giunte leghiste nelle regioni del nord.
La prova generale, seppure fallita, c’è stata in Piemonte, dove Salvini ha volutamente sfibrato gli alleati forzisti, mettendo in dubbio per settimane la candidatura del berlusconiano Alberto Cirio in vista delle regionali, quasi sperando che alla fine, sopraffatti dalla frustrazione, fossero proprio gli azzurri a far saltare il tavolo e a creare una lista moderata in sostegno di Chiamparino. Poi tutto è rientrato, perché “i tempi non erano maturi”. Potranno maturare dopo le europee? “Dipende – dicono i leghisti – da quello che fa Matteo”. E non si capisce se si riferiscano all’uno, o all’altro.