Cosa non ha capito Conte del capitalismo dopo la sua chiacchierata con Severino
Su Repubblica il premier intervista il filosofo, scomoda Aristotele ma fraintende molto. Soprattutto su cosa stia minacciando davvero la democrazia
A me sarebbe piaciuto se l’incontro fosse andato come lo racconta Plutarco: "Alessandro si recò di persona a rendere visita a Diogene di Sinope, e lo trovò disteso al sole. Diogene sollevò un po' lo sguardo, quando vide tanta gente venire verso di lui, e fissò negli occhi Alessandro. E quando il monarca si rivolse a lui salutandolo, e gli chiese se volesse qualcosa, egli rispose 'Sì, stai un po' fuori dal mio sole'". Invece Severino, che ha i modi di un signore d’altri tempi, ha fatto accomodare Giuseppe Conte e ha amabilmente conversato con lui: del dominio della tecnica, del divenire, dell’eterno, e di un futuro in cui tutti saranno filosofi. Lui, il primo ministro – che non ha ancora compiuto imprese paragonabili a quelle dell’antico condottiero, ma questo non vuol dire che l’incontro di Brescia non passerà alla storia, o almeno all’aneddotica – lui legge e apprezza Severino "anche per l’estrema versatilità del pensiero che traspare dai suoi scritti": in verità è l’ultima cosa che a me verrebbe di apprezzare leggendo i suoi lavori. Che dimostrano semmai la tenace ostinazione con cui si insegue un unico pensiero.
Ma non scoraggiamoci, vediamo (su Repubblica). Conte si accomoda, e domanda. E che domanda! "Credo che le categorie del pensiero filosofico, nella migliore tradizione aristotelica, possano risultare di estrema utilità per un politico. Partirei proprio dal ruolo del capitalismo nell’attuale congiuntura storica". Eh, già: chi non scomoderebbe la migliore tradizione aristotelica per riflettere sul ruolo del capitalismo nell’attuale congiuntura storica? Io avrei pensato a tutt'altro, sarei forse partito un po’ più da presso, ma Conte aveva bisogno di farsi autorizzare da Aristotele, per spiegare perché lui, il politico, era seduto nel salotto di casa del filosofo: per capirci qualcosa dell’attuale congiuntura. Ma se c’è una cosa che Severino non aiuta affatto a capire è l’attuale congiuntura. Vuoi capire non solo Aristotele ma pure Platone, oppure Hegel o Nietzsche? Saprei indicare ottimi libri di Severino con cui vale la pena confrontarsi. Ma se vuoi capire l’attuale congiuntura storica, a che ti serve un pensiero che ti ripete invariabilmente che, prima o poi – "a un certo punto", dice nell’intervista Severino, ed è un punto un po’ vago – la tecnica prevarrà su ogni altra cosa? Valga o no l’argomento del filosofo, se c’è una cosa che un politico vorrebbe sapere è: a qual punto, precisamente? Nel corso di questa legislatura o della prossima? O forse in un futuro indefinito? Non c’è politica se non in relazione al tempo, altrimenti perché Conte se ne uscirebbe con frasi tipo: "Sarà un anno bellissimo" (salvo chiarire in seguito, visto il Def, che scherzava)? Il parametro di riferimento di Severino è, invece, l’eterno. Proprio Aristotele, quello le cui categorie Conte ha tirato in ballo a sproposito, spiegava che la politica riguarda ta anthropina, le cose umane, caratterizzate da una certa variabilità e contingenza, non certo dalla necessità. E invece il dominio della tecnica di cui parla Severino è inevitabile, necessario, anzi di più.
Ma vediamo ancora. Dopo aver spiegato come la tecnica prevarrà su ogni cosa, un Conte che immagino affascinato dalle grandi arcate del pensiero di Severino riprende la parola e dice: "Il capitalismo tenta dunque di estendere la sua sfera di influenza e di applicazione ai danni della democrazia. La seguo, e condivido il suo pensiero". Eh no, caro il mio primo ministro, non hai seguito bene. Quello che hai seguito è forse il pensiero di Di Maio, che ha deciso di fare quello di sinistra e perciò gli viene bene la critica del capitalismo, e tu appresso a lui, ma Severino ha detto un’altra cosa. E non c’è nemmeno bisogno di scomodare i suoi libri, basta leggere il primo rigo della tua memorabile intervista: "Occorre distinguere tra capitalismo e strumento tecnico di cui il capitalismo si serve". Questa distinzione ti è sfuggita, ed è invece essenziale, perché Severino sostiene proprio l’opposto, che cioè i rapporti fra il capitalismo e la tecnica è inevitabile che "a un certo punto" si capovolgano, e che la tecnica infine prevalga. È la tecnica, dunque, che si mangia la democrazia (e ogni altra cosa), non il capitalismo. (Che poi, se è la tecnica a prevalere, che facciamo con la Tav? Come la fermiamo? Questo è non il pensiero – non dico tanto – ma almeno il cruccio di un altro tuo ministro, Toninelli).
Il fatto è, a proposito di libri da scomodare, che Severino è uno e bino. C’è quello che pubblica la Struttura originaria, il Destino della necessità (e Tautotes, e L’anello del ritorno): sono gli scritti ai quali rinvia quando vuole additare i fondamenti del suo pensiero. E poi c’è una serie di libri decisamente più potabili – tra cui La potenza dell’errare, che è quello che ha letto Conte – in cui i fondamenti vengono lasciati stare, e tutto prende la forma di un racconto affascinante: siamo tutti destinati all’eterno, non è vero che le cose provengono dal nulla e finiscono nel nulla, la tecnica prevarica ogni cosa ma alla fine anche la tecnica tramonterà. C’è il nichilismo, insomma, ma il senso dell’essere, è ben altro, e l’uomo, l'uomo deve scoprire di essere già da sempre destinato alla Gloria.
Bello, no? Al nostro primo ministro piace, e Severino non se ne dispiace. E così i due si incontrano, e discettano di Dio che contiene ogni cosa e dell'altezza vertiginosa dell'uomo. Per una volta Repubblica non ha bisogno delle meditazioni di Scalfari e tutti fanno una bellissima figura. Per quest'oggi, almeno. In futuro vedremo: sarà Plutarco a decidere come tramandare l'incontro ai posteri, chi ha fatto ombra a cosa, e che ne sarà della filosofia.