Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Per capire i danni causati dal governo basta rileggere le 37 interviste di Conte

Claudio Cerasa

Populismo non significa ascoltare i bisogni del popolo, ma usare il popolo come alibi per nascondere l’incapacità di prendere le decisioni giuste per il paese. Cosa si scopre mettendo a confronto le parole del premier con la realtà dei fatti

L’anno non sarà più bellissimo, ma le previsioni restano uno spasso. Abbiamo fatto un piccolo esperimento e abbiamo riletto di getto tutte le interviste rilasciate alla carta stampata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte dal giorno del suo insediamento come primo ministro, giugno, fino a oggi. Le interviste rilasciate dal premier sono trentasette, quattro sono state date a Repubblica, quattro sono state date al Fatto, nove sono state date alla Stampa, tredici sono state date al Corriere della Sera (sette solo a Massimo Franco) e la rilettura di queste interviste è un esercizio che ci permette di rispondere a una domanda che giorno dopo giorno diventa sempre più centrale per misurare la pericolosità del governo del cambiamento: ma il presidente del Consiglio e i suoi vicepremier si rendono conto di quello che stanno facendo oppure no? La nostra carrellata veloce, velocissima, delle chiacchierate del presidente del Consiglio comincia con un’intervista alla Stampa rilasciata il 10 luglio. Dice Conte: “Un mercato del lavoro più stabile rilancia la domanda interna, con ricadute positive sui profitti d’impresa. Naturalmente non ci fermeremo qui: i prossimi passi saranno la riduzione del cuneo fiscale e la semplificazione burocratica”. Nove mesi dopo, la situazione è quella che conoscete tutti. A inizio aprile il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le stime per la crescita italiana, prevedendo nei primi mesi del 2019 un calo dello 0,2 per cento della domanda interna. 

Pochi giorni dopo, l’Ocse ha certificato che nel 2019 aumenterà il cuneo fiscale e di conseguenza anche il costo del lavoro passerà dal 47,7 per cento al 47,9 per cento con una differenza di dodici punti percentuali rispetto al resto dei paesi Ocse. A febbraio, secondo le ultime stime Istat, anche la stabilità del mercato del lavoro non è quella che il premier sperava: il tasso di disoccupazione è passato dal 10,5 per cento al 10,7 per cento, a gennaio le domande di disoccupazione si sono impennate e sono salite a quota 201.267, in crescita del 13,4 per cento su gennaio 2018, e tra gennaio e febbraio è salita anche la cassa integrazione per la prima volta da oltre un anno, con una percentuale pari al 9,38.

 

Andiamo avanti? Andiamo avanti. Arriviamo al 19 luglio, l’intervista è al Fatto. “La Libia? Lavoriamo per stabilizzarla, con tutti i soggetti in campo”. Suggestivo. A fine luglio, poco dopo l’intervista al Fatto, Giuseppe Conte andrà in America da Donald Trump e dopo l’incontro alla Casa Bianca comunicherà ai giornalisti la seguente novità. “Con Donald abbiamo concordato e raggiunto i seguenti risultati. Da oggi avremo un fatto nuovo e significativo: una cabina di regia permanente Italia e Usa nel Mediterraneo allargato, una cooperazione strategica, quasi un gemellaggio, in virtù del quale l’Italia diventa punto di riferimento in Europa e interlocutore privilegiato degli Stati Uniti per tutte le crisi che riguardano le aree del Mediterraneo, con particolare riguardo alla Libia”. Oggi, come sapete, la Libia è di nuovo sull’orlo di una guerra civile. Secondo alcune stime governative riportate l’8 aprile dal Sole 24 Ore, una crisi libica potrebbe rendere il confine libico meno governabile di oggi e nel giro di pochi mesi potrebbero partire fino a 100 mila migranti. Fino a qualche mese fa, nel Mediterraneo era prevista una copertura navale per la missione europea Sophia contro i trafficanti di essere umani. Anche grazie al pressing del ministro dell’Interno oggi la missione Sophia è ancora lì ma le navi non ci sono più. E i trafficanti, anche grazie al prezioso lavoro di stabilizzazione della Libia, non è detto che non tornino presto a festeggiare. Un anno bellissimo!

 

 

 

Andiamo avanti? Andiamo avanti. Siamo al 27 luglio, l’intervista è al Corriere della Sera. “Ai vertici europei in passato spesso l’Italia non si è fatta valere per timore di rimanere isolata. In un’Europa debole e disorientata stiamo cercando di far capire che possiamo aiutarla a rafforzarsi: il quadro strategico è cambiato. E sull’immigrazione, l’atteggiamento sta cambiando a nostro favore”. I successi ottenuti negli ultimi mesi in Europa dal governo italiano sono in effetti moltissimi, moltissimissimi, ma i trionfi più significativi sono stati registrati sul tema dell’immigrazione. Il governo Conte aveva promesso che avrebbe creato un sistema di alleanze utile a riformare il trattato di Dublino e utile a rendere la redistribuzione dei migranti in Europa obbligatoria e non volontaria ma a un anno dall’arrivo di Conte al governo la situazione è quella che è: la redistribuzione dei migranti e dei richiedenti asilo è bloccata e avviene solo su base volontaria e al Consiglio europeo di fine giugno l’Italia, scegliendo di stare dalla parte del gruppo di Visegrád, ha scelto anche di accettare il principio che ogni cambiamento del trattato di Dublino debba avvenire non a maggioranza del Consiglio europeo ma all’unanimità. Il quadro strategico è cambiato e l’Italia indossando i gilet gialli e gli abiti ungheresi ha scelto di stare dalla parte dei nemici del nostro paese.

  

Andiamo avanti? Andiamo avanti. Siamo al 9 agosto, l’intervista è al Corriere della Sera. “La Tav si farà? Stiamo esaminando costi e benefici, la sintesi la faremo tra un po’ in Consiglio dei ministri”. Arrivati a metà aprile i ministri del Movimento 5 stelle dicono che la Tav Torino-Lione non si farà mai, a chi vuoi che importi andare a Lione? i ministri della Lega dicono che la Tav si sta già facendo, mentre il presidente del Consiglio, che non ha mai deciso in nessun Cdm che fine far fare alla Tav perché la Tav è figlia di un trattato extranazionale e per cambiare quel trattato deve essere il Parlamento a votare e non il Consiglio dei ministri, continua a dire, lo ha detto al Fatto il 30 marzo, cose così: “Mi ha molto soddisfatto la risposta di Telt, che conferma come si possano avviare le dichiarazioni di interesse senza far partire i bandi di gara per alcuni mesi, senza il rischio di penali” (i bandi di gara però sono già partiti).

 

I dieci mesi del governo del cambiamento hanno purtroppo dimostrato
che essere populisti ed essere anti sistema significa giocare con la salute della settima economia più importante del mondo senza avere la minima idea di quali possano essere le conseguenze di una politica autolesionista
e incosciente 

   

Andiamo avanti? Andiamo avanti. Siamo al 21 agosto, l’intervista è al Corriere della Sera: “Il debito pubblico è sostenibile e in ogni caso si può risanare con gradualità ponendo attenzione alle ragioni della crescita”. A gennaio il debito pubblico italiano, però, è salito di 41 miliardi in più rispetto a dicembre: più 1,7 per cento in trenta giorni. Quasi un record.

 

Andiamo avanti? Andiamo avanti. Siamo al 30 settembre, l’intervista è ancora al Corriere della Sera: “L’obiettivo di questa manovra è far scendere il debito puntando a una più consistente crescita economica e a un più ampio sviluppo sociale”. Il Documento di economia e finanza approvato pochi giorni fa in Consiglio dei ministri ha purtroppo certificato che la crescita italiana è passata dal +1,7 del 2017 al +0,9 del 2018 al +0,2 per cento del 2019. Il debito pubblico, sfortunatamente, arriverà, almeno, a quota 132,7 per cento del pil. Il 12 aprile l’Ufficio parlamentare di bilancio ha poi notato che “la fiducia dei consumatori, che già negli ultimi mesi del 2018 aveva mostrato segnali di deterioramento, è peggiorata nel trimestre scorso” e che “il più sfavorevole clima di opinione, in presenza di un crescente livello di incertezza economica, potrebbe impattare negativamente nel breve termine sugli acquisti delle famiglie”. Una manovra bellissima!

 

Andiamo avanti. L’intervista è sempre la stessa e siamo sempre sul Corriere della Sera: “Confido che tutte le associazioni di categoria, anche sindacali, possano apprezzare o valutare senza pregiudizi l’importante svolta che stiamo realizzando nel nostro paese sul piano della politica economica”. I dati presenti nella bozza del Documento di economia e finanza portata in discussione in Consiglio dei ministri la scorsa settimana hanno certificato però che la traiettoria economica del governo prevede nell’ordine: un aumento del debito pubblico, un aumento della pressione fiscale, un aumento della spesa per interessi, un aumento della disoccupazione, una riduzione dell’occupazione, un impatto praticamente nullo delle principali misure della manovra. La svolta in effetti c’è ed è bellissima, no?

 

 

Andiamo avanti. Siamo al 4 ottobre, l’intervista è su Famiglia Cristiana: “Puntiamo alla crescita, attraverso una manovra seria, responsabile e coraggiosa. Negli ultimi anni abbiamo visto che i tentativi di ridurre il debito pubblico con l’austerità hanno sortito l’effetto contrario. Questo governo invece si è impegnato in maniera credibile a ridurre il debito attraverso misure strutturali per generare la crescita”. In termini percentuali sul pil, in realtà, il debito pubblico è sceso dal 2014 al 2017 dal 131,8 per cento al 131,2 per cento. Alla fine del 2018 è arrivato al 132,1 per cento. Secondo il Fondo monetario internazionale, di questo passo, alla fine del 2019 arriverà al 133,4 per cento, nel 2020 salirà al 134,1 per cento, nel 2024 arriverà al 138,5 per cento. Come coraggio non c’è male.

 

 

Andiamo avanti. Siamo ancora su Famiglia Cristiana: “Al segretario generale dell’Onu ho ribadito l’impegno del nostro paese per un multilateralismo efficiente”. Nel giro di pochi mesi, il governo del cambiamento ha scelto di essere l’unico paese europeo a non riconoscere in Venezuela la presidenza Guaidó, allineandosi a Cina, Russia, Iran e Turchia; ha scelto di essere l’unico paese europeo contrario ai controlli preventivi sugli investimenti strategici dell’Italia in Cina; ha scelto di essere l’unico paese del G7 ad aderire a un memorandum con la Cina comprensivo anche di investimenti sulle telecomunicazioni. Multilateralismo chi?

 

Andiamo avanti, ci siamo quasi. Siamo ancora al 4 ottobre, l’intervista è alla Stampa. Sedetevi: “Nel 2020 porteremo il rapporto deficit/pil al 2,1 per cento e nel 2021 scenderemo all’1,8. Avremo un miglioramento del rapporto debito/pil che ora veleggia sopra il 130 per cento e nel 2020 si attesterà al 126,5”. Nel 2019, purtroppo, il rapporto deficit/pil dell’Italia, come confermato dal Def, sarà del 2,4 per cento, nel 2020, secondo le stime molto ottimistiche del Mef, sarà del 2,1. Il debito pubblico, dopo un calo tra il 2014 e il 2017, ha ricominciato a salire. Nella stessa intervista, poi, Conte dice che “dal primo marzo partiremo con il reddito di cittadinanza” (no comment) e poi gagliardo aggiunge quanto segue: “Faremo di tutto per consegnare il nuovo ponte entro la fine del 2019”. Secondo le stime dell’Anas, che si occuperà della ricostruzione del Ponte Morandi a Genova, sfortunatamente per ricostruire il ponte ci vorranno dai 16 ai 22 mesi, a partire dal momento della demolizione. Ad aprile, a otto mesi dalla scadenza promessa da Conte, il ponte non è ancora stato demolito.

 

Andiamo avanti. Siamo di nuovo sul Corriere della Sera, è il primo novembre: “La nostra manovra contiene un ampio programma di riforme strutturali che andrà a beneficio di tutti gli operatori economici. E mi lasci dire… renderemo l’Italia un paese dove è più facile fare impresa e investire”. Secondo Confesercenti, quest’anno la crescita della spesa degli italiani si fermerà a un massimo di +0,4 per cento, la metà dell’aumento stimato per il 2019 dal governo: sono 3,6 miliardi di euro di consumi in meno ed è il risultato peggiore registrato negli ultimi cinque anni. Rispetto al picco della scorsa primavera, poi, i corsi azionari sono calati del 12 per cento nell’area dell’euro e del 17 in Italia. Nello stesso periodo, ha segnalato Bankitalia a inizio marzo, i rendimenti delle obbligazioni private sono aumentati rispettivamente di 40 e 100 punti base (all’1,6 e al 2,5 per cento). Nel settore bancario, infine, gli indici di Borsa sono diminuiti in media di quasi il 40 per cento, a fronte di un calo del 30 nell’area dell’euro, e i rendimenti delle obbligazioni sono quasi raddoppiati, salendo del 2,4 per cento, contro un aumento medio di 0,3 punti percentuali nel complesso dell’area. Il 70,5 per cento degli italiani, secondo il Censis, pensa che nei prossimi dodici mesi non potrà aumentare i consumi. Eppure, sempre nella stessa intervista, Conte aveva assicurato che “gli effetti positivi delle nostre riforme si vedranno a partire dal 2019”. Un anno bellissimo.

 

Poche settimane dopo, siamo nel 2019, ma siamo sempre sul Corriere, Conte torna ad attaccare. E’ il 25 gennaio e Conte dialoga con Massimo Franco: “Il presidente del Consiglio difende la previsione di una crescita del prodotto interno lordo che secondo lui potrebbe arrivare all’1,5 per cento del pil nel 2019: ‘Sono pronto a scommettere che ce la possiamo fare’”. Secondo Confindustria, la crescita nel 2019 sarà, nel migliore dei casi, a zero. Secondo il governo, la crescita nel 2019 sarà più 0,2.

 

Infine, l’ultima intervista da segnalare. Siamo al 26 febbraio, la chiacchierata è con il Sole 24 Ore, che per l’occasione schiera tre giornalisti a colloquio con il premier: “L’alleggerimento della pressione fiscale è un obiettivo che siamo assolutamente determinati a perseguire”. Davvero? Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, nel 2019 la pressione fiscale salirà dal 41,9 al 42,4 per cento del pil, nel 2020 arriverà al 42,8. Dal 2013, quando era al 43,6 per cento, al 2017 la pressione fiscale era scesa ininterrottamente: meno 0,3 punti nel 2014, meno 0,2 punti nel 2015, meno 0,7 punti nel 2016, meno 0,2 punti nel 2017. Nelle prossime due manovre, inoltre, per evitare di far scattare l’Iva il governo dovrà trovare 53 miliardi di euro in due anni (prima dell’ultima manovra il costo per coprire le clausole di salvaguardia era di 53 miliardi di euro in tre anni).

 

Di fronte a questa piccola carrellata – nel frattempo in questi mesi Conte da intervistato si è fatto anche e intervistatore come testimoniato da un colloquio surreale da scherzi a parte pubblicato sabato scorso su Repubblica in cui il premier intervista Emanuele Severino sulla filosofia, e purtroppo non è uno scherzo – ci si potrebbe chiedere cosa dimostrano tutte queste previsioni sbagliate. Per rispondere, ormai ci abbiamo preso gusto, potremmo usare un’altra frase utilizzata da Conte nel suo discorso di insediamento alla Camere. “Se populismo è l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente – prendo spunto da riflessioni di Dostoevskij tratte dalle pagine di Puskin –, se anti sistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema, che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche (quelle che appoggiano il governo, ndr) meritano entrambe queste qualificazioni”. I dieci mesi del governo del cambiamento hanno purtroppo dimostrato che essere populisti ed essere anti sistema significa qualcosa di peggiore. Significa giocare con la salute della settima economia più importante del mondo senza avere la minima idea di quali possano essere le conseguenze di una politica autolesionista, incosciente, costruita per essere fuori dal mondo. Populismo non significa ascoltare i bisogni del popolo ma significa usare il popolo come un alibi per nascondere la propria incapacità di prendere le decisioni giuste per la vita di un paese.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.