Raggi e Siri: M5s e Lega sono garantisti alternati
I grillini chiedono le dimissioni del sottosegretario leghista, indagato. Il carroccio lo difende ma chiede le dimissioni del sindaco di Roma per un’intercettazione
Roma. Di mattina garantisti, di pomeriggio forcaioli, e viceversa. E’ la sintesi della giornata politica vissuta giovedì da Lega e M5s. E pensare che l’iniziale pomo della discordia, l’indagine per corruzione aperta dalla procura di Roma nei confronti del sottosegretario leghista ai Trasporti Armando Siri, sembra fare acqua da tutte le parti. Non tanto per l’ormai tradizionale meccanismo della gogna mediatico-giudiziaria, che ha fatto sì che il sottosegretario venisse a conoscenza dell’indagine leggendo i giornali ancor prima di ricevere un avviso di garanzia, quanto per la debolezza dell’inchiesta.
Secondo i pubblici ministeri Siri, tramite Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia responsabile del programma della Lega sull’ambiente,avrebbe ricevuto denaro per modificare una norma da inserire nel Def 2018 che avrebbe favorito l’erogazione di contributi per le imprese che operano nelle energie rinnovabili.La norma, però, non fu mai approvata. Un caso piuttosto bizzarro di corruzione, in cui peraltro il presunto corrotto avrebbe messo a repentaglio la sua intera carriera per intascare una tangente di 30.000 euro, somma che corrisponde all’incirca a due mensilità di stipendio. Come se non bastasse, il principale elemento di sospetto nei confronti di Siri sarebbe un’intercettazione poco chiara e di difficile comprensione in cui Arata parla col figlio della mazzetta che “avrebbe voluto dare o avrebbe già dato” al sottosegretario. Per gli stessi magistrati, inoltre, Siri non sarebbe stato a conoscenza dei legami tra l’ex parlamentare e soggetti vicini alla mafia. Siri ha respinto quindi con forza ogni accusa: “Non ho mai piegato il mio ruolo istituzionale a richieste non corrette. Chiederò di essere ascoltato immediatamente dai magistrati”.
Dal M5s, però, è giunta una valanga di richieste di dimissioni e il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ha ritirato le deleghe al sottosegretario. “Va bene rispettare i tre gradi di giudizio, ma qui la questione è morale”, ha detto il vicepremier Luigi Di Maio, nell’ennesimo ritorno al giustizialismo dell’etica grillina, che però mai ha indotto a chiedere le dimissioni dei propri esponenti al centro di indagini giudiziarie ma fedeli ai vertici. Ecco allora l’altro vicepremier, Matteo Salvini, difendere il suo sottosegretario con un’improvvisa lezione di garantismo: “Siri non deve dimettersi, c’è solo un’iscrizione nel registro degli indagati e solo se sarà condannato dovrà farsi da parte. Non ho mai chiesto di far dimettere la Raggi o parlamentari 5 stelle quando sono stati indagati”. Peccato che il richiamo al principio costituzionale di presunzione di innocenza provenga da un ministro dell’Interno che quotidianamente augura a persone indagate o imputate di “marcire in galera” e che all’indomani dell’inchiesta sulla Sanità in Umbria ha chiesto elezioni immediate.
Ed è proprio attorno alla sindaca Raggi che nel pomeriggio, in questo gioco schizofrenico di giustizialisti per convenienza, le parti si invertono, dopo la diffusione da parte dell’Espresso delle intercettazioni in cui la sindaca di Roma farebbe pressioni sull’ad di Ama da lei nominato per modificare il bilancio dell’azienda rifiuti. “Se il contenuto delle intercettazioni corrispondesse al vero, la Raggi dovrebbe dimettersi”, afferma il ministro leghista per gli Affari regionali Erika Stefani, spazzando via ogni accenno garantista mattutino. Le fa eco, spazzando via il garantismo mattutino, il vicepremier Salvini: "E' inadeguata, si faccia da parte". Poche ore prima, immersi nel caso Siri, era stata la ministra leghista Giulia Bongiorno a scoprire il “giustizialismo a intermittenza” dei Cinque stelle, ignara che il suo partito negli ultimi mesi ha approvato tutte le riforme forcaiole proposte dal proprio partner di governo, dalla “spazzacorrotti” alla prescrizione, dal voto di scambio al rito abbreviato.