“Questo Pd avrà bisogno di un centro”, ci dice Giuliano da Empoli
"I nazional-populisti saranno minoritari in Europa, ma hanno un'egemonia culturale". Parla lo scrittore
Roma. Giuliano da Empoli ha passato gli ultimi mesi a studiare “gli ingegneri del caos”, come da titolo del suo nuovo libro che uscirà in Italia per Marsilio il prossimo 2 maggio. Il libro, molto bene accolto in Francia dove l’autore risiede da anni, uscirà nel corso dei prossimi mesi in diversi paesi europei. Ma chi sono questi ingegneri? “Sono i comunicatori politici che hanno capito che la rabbia è un giacimento enorme e che oggi ci sono degli strumenti tecnologicamente molto sofisticati che permettono di sfruttarla a pieno. Su Channel 4 è andata in onda una fiction strepitosa su Dominic Cummings, stratega della Brexit, che a un certo punto pronuncia questa frase: in giro ci sono sacche di rabbia che noi dobbiamo andare a prendere come fanno le piattaforme petrolifere, con il fracking. Ecco, in politica il fracking lo fanno i social network e i new media, che vanno a pescare in sacche separate le une dalle altre, molto più puntualmente di quanto accadesse in passato, importando la logica di Facebook nel mondo reale”.
Questi personaggi lavorano anche all’interno dell’Unione europea: hanno successo ma anche dei limiti. “Tutto lascia pensare che i nazional-populisti anche a questo giro saranno largamente minoritari e non parteciperanno al governo dell’Unione. Le probabilità dunque che Salvini abbia un ruolo centrale nel prossimo Europarlamento sono pressoché nulle. Diverso il discorso sull’egemonia culturale, perché bisogna ammettere quella battaglia la stanno vincendo i nazional-populisti, che sono oggi il pensiero europeo dominante, non solo per il seguito dei movimenti politici ma perché condizionano il pensiero degli altri, anche degli europeisti. Per la prima volta dobbiamo ragionare in termini culturali, di cultura politica, come opposizione. Gli europeisti, che sono stati in posizione dominante per 70 anni, oggi sono culturalmente all’opposizione. Il che ci libera dal peso dell’incumbent e ci consente, se ne avremo la capacità, di uscire dalle convenzioni piatte e noiose del pensiero europeo per tornare a creare qualche sorpresa, a prendere qualche rischio, anche a costo di essere un po’ spiazzanti. D’ora in poi siamo noi europeisti liberal-democratici gli insurgent, la guerriglia di opposizione. Il che rappresenta un problema, ma apre uno spazio di manovra, sia politico che culturale, che può essere considerevole per rifondare il pensiero europeista. Naturalmente poi dipende da come lo declini”.
Il centrosinistra italiano in che condizioni è? Le piace il Pd di Nicola Zingaretti? “Io non ho nulla contro l’operazione ‘Rifondazione piddina’. Dopo le invasioni barbariche e le grandi eresie renziane capisco il bisogno di un ortodosso che ricostruisce quella comunità, riallacciandosi all’identità originaria, e Zingaretti è la persona giusta per incarnarla. Io ne vedo l’utilità, anche perché è chiaro che dopo la fine della stagione renziana doveva esserci, in quel mondo lì, un momento di questo genere, che permette di far sentire di nuovo a casa propria tante persone che non ci si sono sentite nel corso degli ultimi anni. Il limite implicito di un’operazione di questo tipo è che la sua forza espansiva è molto bassa. Quello di Zingaretti è un lavoro di consolidamento e in una logica proporzionale ha senso e per quanto mi riguarda si può sostenere che fosse necessaria”.
Dopodiché, dice da Empoli, “così si aprono degli spazi per operazioni di tipo diverso, alla destra di questa rifondazione Pd, com’è giusto che sia. Se l’operazione zingarettiana disinnesca la conflittualità a sinistra e gli Stumpo si sentono di nuovo a casa va bene così. Certo, quella non sarà più la casa del 40 per cento e tanti di noi, che hanno creduto in un certo progetto, sono lontani dalla linea Stumpo. Non è una critica, ma un dato di fatto. Penso che Zingaretti possa essere l’interprete professionale di questa linea”. Alla destra del Pd dunque può esserci uno spazio liberal-democratico, “non enorme, contrariamente a quello che immagina qualcuno, ma medio-piccolo, che speriamo non sia annullato dalla sovrapposizione di troppe iniziative da uno o due per cento”.
Sarebbe peraltro interesse del Pd, dice da Empoli, “se non promuovere quantomeno accettare e accompagnare la nascita di questo spazio, visto che siamo nel proporzionale”. La questione da comprendere è che “l’alternativa al nazional-populismo oggi non va oltre il 30 per cento tutto compreso”. Ed è questo il problema dell’Italia, dice lo scrittore. “Siamo di fronte a un rischio argentino, non dal punto di vista finanziario ma politico. In una prospettiva di medio-lungo termine, non domattina quindi, il Movimento 5 stelle è destinato a ritornare a essere opposizione. Al contrario di chi lo dà per morto, potrebbe allora galvanizzarsi di nuovo, interpretando il ruolo in maniera più vocale ed efficace del Pd. Lo schema dunque potrebbe essere questo: da una parte hai i generali argentini, la destra dura, con una gamba moderata insignificante, dall’altra parte l’ala peronista giacobina egemonizzata dal populismo, magari con dentro una gamba del Pd. In prospettiva l’alternativa rischia di essere tra l’estrema destra e il peronismo. Poi chissà, magari l’Italia come al solito ribalta le previsioni, ma la spirale, certo non allettante, rischia di essere questa”. Tutti a Parigi, dunque?