Il modello Raggi non si sconfigge in procura
Le parole del sindaco, l’immobilismo nocivo, il fallimento di cui prendere atto
La lettura delle registrazioni dei colloqui tra Virginia Raggi e l’ex presidente dell’Ama lascia sbigottiti. E’ uno squarcio di realtà che si sovrappone e si contrappone alle dichiarazioni ufficiali, in cui si sente prevalere la disperazione privata, esattamente il contrario delle autoesaltazioni esibite in pubblico. La prima cittadina di Roma fa quasi tenerezza: si sente assediata da poteri e interessi che non controlla, dai sindacati dei netturbini al suo sempre più stringente circolo di sostenitori, e chiede disperatamente aiuto, anche se questo dovesse significare la stesura di un bilancio falso.
Naturalmente se la persona Raggi in questa vicenda appare come una vittima intrappolata in una ragnatela dalla quale non riesce a uscire, l’amministratrice e l’avvocato Raggi, al contrario, dimostra un’incompetenza e un’inadeguatezza sconcertante. E’ un avvocato, quindi sa che stilare un bilancio non corrispondente ai dati è un reato, ma si infila in una tortuosa trattativa in cui prevede persino di avviare una sorta di finta controversia tra comune e amministrazione dell’Ama. Soprattutto è evidente il suo tentativo di manomettere i dati della realtà contabile per farli aderire a un presunto interesse politico, che peraltro non è in grado di controllare.
Se esistono o no gli elementi giuridici per indagarla per qualche reato spetta ai magistrati, ma per giudicare la sua adeguatezza politica al ruolo di prima cittadina di Roma bastano le sue stesse parole. E l’ammissione di essere ostaggio di un modello politico immobile e consociativo che lei stessa ha alimentato. Si può lasciare ai giustizialisti a orologeria discettare se per il caso di inchiesta a carico debba o no dimettersi. Quello che invece si può dire senza troppi problemi è che dovrebbe lasciare un ruolo che non è in grado di esercitare, come dimostra il fatto stesso che questo famoso bilancio tuttora non è stato presentato e approvato, che dalla girandola di assessori, consiglieri, presidenti e commissari non si riesce a far emergere qualcuno che si assuma la responsabilità di dare risposte concrete a problemi concreti, come dovrebbe fare e fa altrove qualsiasi amministrazione degna di questo nome.