Matteo Salvini (foto Imagoeconomica)

Chiacchiere, negher e distintivo. Ovvero Salvini

Claudio Cerasa

Dalla giustizia alle tasse. Dal Venezuela alla Cina. Dal garantismo alle imprese. Il caso Siri smaschera la truffa dei valori non negoziabili del salvinismo e spiega perché senza una rottura di governo il palloncino del Truce è destinato a scappare

Il violento schiaffo che Matteo Salvini ha ricevuto in faccia dal Movimento cinque stelle e dal premier Giuseppe Conte sul caso Siri può essere osservato con due chiavi di lettura differenti. La prima chiave di lettura ci porterebbe a dire che anche sui temi della giustizia la distanza politica che esiste tra il M5s e la Lega è molto profonda: i primi tendono spesso a considerare un’indagine come una sentenza definitiva, soprattutto quando le indagini riguardano un politico distante dalla Casaleggio Associati, mentre i secondi tendono spesso a considerare un’indagine non come una sentenza definitiva, soprattutto quando le indagini riguardano un politico non distante dall’orbita di Salvini. Apparentemente, dunque, il caso Siri, a volerlo osservare con le lenti del nuovo bipolarismo italiano, tenderebbe a suggerirci che la Lega e il M5s sono partiti fatti di paste molto diverse, che Salvini e Di Maio hanno due modi diversi di muoversi nel mondo e che i due azionisti di governo sono alternativi e non complementari.

 

La seconda chiave di lettura, che è quella che ci convince di più e che potrebbe portare Salvini a rompere l’alleanza con il Movimento cinque stelle dopo le europee, ci dice invece qualcosa di diverso e ci dice che in realtà il caso Siri è la spia di un problema che va ben oltre il tema della qualità della classe dirigente leghista e che arriva diritto al cuore delle contraddizioni salviniane: che cosa è disposto a perdere, il leader della Lega, per non perdere il potere?

 

Fino a oggi la distanza sbandierata con orgoglio da Matteo Salvini su molti dossier cari al Movimento cinque stelle ha avuto l’indubbio effetto di trasformare la Lega nell’alternativa naturale al grillismo. Il gioco può forse funzionare in campagna elettorale, ma quando la campagna finirà ciò che emergerà con forza del profilo di Salvini sarà una sensazione diversa, più simile all’impotenza che alla potenza. E più passerà il tempo e più i distinguo del leader della Lega diventeranno un elemento di fragilità della leadership salviniana e diventeranno qualcosa di simile a una serie di valori negoziabili. Ci si può girare attorno quanto si vuole ma più Salvini tergiverserà nel tenere in piedi questo governo più sarà difficile per la Lega mostrare l’esistenza di una differenza reale nei confronti del M5s proprio sui temi usati negli ultimi mesi dal ministro dell’Interno per marcare una distanza dal socio di governo.

 

Vale quando si parla delle tasse che devono andare giù. Vale quando si parla degli imprenditori che devono essere tutelati. Vale quando si parla della democrazia da proteggere in paesi come il Venezuela. Vale quando si parla di memorandum non graditi con la Cina. Vale quando si parla della necessità di combattere contro il giustizialismo e per una giustizia più giusta. Matteo Salvini, con i suoi spassosi e ridicoli liberali al seguito, potrà indignarsi quanto crede con il Movimento cinque stelle per il processo mediatico costruito intorno al sottosegretario Armando Siri. Ma una volta finita l’indignazione dovrà chiedersi, e gli si dovrà chiedere, cosa ha fatto il garantista Salvini in questo anno di governo per combattere il giustizialismo che sostiene di voler combattere. La risposta è purtroppo semplice: nulla di nulla.

 

Si doveva bilanciare una legge pazza, approvata dal governo, che prevede la fine della prescrizione dal primo gennaio del 2020 con una grande riforma sulla giustizia, capace di accelerare i tempi dei processi, ma mentre la prescrizione è stata abolita (anche da Salvini) a sette mesi dalla fine dell’anno della riforma della giustizia non c’è nessuna traccia e se anche un ministro pacato come Giovanni Tria arriva a dire che sui tempi dei processi questo governo dovrebbe fare molto di più significa che la situazione, per quanto possa essere non seria, è piuttosto grave. Il ragionamento fatto sulla giustizia vale anche per tutte le altre partite su cui il leader leghista ha scelto di marcare una distanza dal Movimento cinque stelle. E più passerà il tempo più sarà chiaro che senza una rottura politica il salvinismo è solo chiacchiere, negher e distintivo: può forse far presa nel breve periodo, ma alla lunga rischia di sciogliersi come neve al sole. Il caso Siri ci racconta dunque molti aspetti del governo. Quello forse più importante riguarda non la capacità della maggioranza di andare avanti ma la capacità del salvinismo di essere qualcosa di diverso da un grillismo colorato di verde. I valori non negoziabili, se diventano negoziabili, non sono più valori. E più passerà il tempo e più sarà difficile per Salvini gestire non tanto gli equilibri del governo quanto la grande truffa che ha permesso al salvinismo di crescere come un palloncino: la presunta differenza antropologica tra la Lega e il M5s. Forse è ora di svegliarsi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.