Il corpo del Cav. e l'attesa di una Forza Italia in cerca d'autore
Silvio Berlusconi non farà la campagna elettorale. E’ la prima volta in 25 anni. Il partito sospeso tra culto e timore
Roma. Non farà la campagna elettorale, non potrà girare l’Italia come avrebbe voluto – e pare ancora vorrebbe. Apparirà in televisione, forse. Ma soltanto quando si sarà ripreso dall’intervento. E mai prima d’oggi, nella seconda e berlusconiana Repubblica, era capitato che l’Italia si scoprisse chiamata a votare in assenza del corpo, della fisicità sciamanica del Cavaliere. Alle politiche del 2008 era improvvisamente scomparsa la sua faccia. Sui manifesti elettorali il volto del leader aveva fatto posto al simbolo elettorale, quello del neonato Pdl che andava fatto conoscere. E già allora non trovare il Cav. sui muri delle città dava una strana sensazione di vuoto, un po’ come non trovare i piccioni a piazza San Marco. Jacques Séguéla, il grande pubblicitario, se ne dolse. “Si vota l’uomo”, disse. “Non il partito”. Nel 2008 il Pdl stravinse comunque. Non c’era il volto, ma il corpo sì.
Il corpo di Berlusconi è un multiplo ideale. E’ come Mao, come Marilyn, come Elvis per Andy Warhol, insomma un barattolo di zuppa Campbell’s, perfetta bottiglietta di Coca-Cola. Negli ultimi venticinque anni, essendo tutta la sua etica politica un’opera pop, il corpo del Cav. si è trasformato in un prodotto: conosciuto da tutti, gradito da alcuni, ostentatamente disprezzato da altri. E a questo proposito la copertina di un vecchio libro di Marco Belpoliti, “il corpo del capo”, rimane esemplare: Berlusconi è smontato – la testa da una parte, le mani dall’altra, il naso che vaga, le gambe per conto loro: come se fosse disposto su un tavolo anatomico per venire più dettagliatamente esaminato. Dunque si capisce bene come questa assenza, che presto si manifesterà nel vivo della campagna elettorale per le Europee del 26 maggio, già precipiti sugli uomini di Forza Italia, sulle “zucche che ho trasformato in tanti deputati e senatori” (come disse Lui una volta), alla stregua di un segno del destino. Una di quelle eventualità fatali che per qualcuno, nelle file del partito un tempo battezzato di plastica, già allude al principio della fine, mentre per qualche altro – più ottimista o coraggioso o realista – allude invece al principio di un principio. L’assenza di Berlusconi coincide con l’emergenza spavalda di Matteo Salvini, cui votarsi per sempre? O forse l’assenza di Berlusconi è l’inizio di qualcosa, l’ipotesi del partito vero, quello che non fu il grande Pdl, sempre con il Cavaliere magico ma oltre il Cavaliere magico? Sogni, realtà, congetture.
Giovedì gli uomini e le donne di Forza Italia, i gruppi parlamentari, i dirigenti, si sono affrontati a lungo in una riunione animata e chiassosa dalla quale è emerso – per una volta con una certa chiarezza – tutto il caleidoscopio delle posizioni e anche dei timori di classe di questo ceto politico e parlamentare creato e benedetto con l’imposizione delle mani un giorno del 1994 dal Cavaliere taumaturgo. Così, oltre Giovanni Toti, il governatore della Liguria ed ex delfino divorato, lui che non fa mistero di voler costruire un ponte (una passerella dalla scialuppa) verso la Lega, è cominciato un ribollire di ipotesi e di idee che non assecondano la tentazione di consegnarsi a Salvini ma contemplano la vaghezza – ciclica ma adesso non più una bestemmia – di affiancare al Cavaliere-idolo una leadership operativa. E allora ecco i teorici della “rasoiata”, quelli che a Berlusconi vorrebbero suggerire un leader carismatico reclutato da fuori, uno che possa aggredire Salvini (per poi allearcisi ma non da suddito). La fantasia corre, certo, anzi galoppa, ma sono tutti nomi che vengono sul serio maneggiati senza nessuna cautela: Urbano Cairo, Diego Della Valle… Ci sono poi i teorici del ticket femminile, chi sogna Mara Carfagna insieme a Mariastella Gelmini, cui si oppongono quelli che invece sostengono l’incoronazione solitaria della Carfagna e quelli che invece tifano per la sola Gelmini. Una gran confusione. E d’altra parte Forza Italia, non da oggi, vive una vita di clan, senza voragini di vizio, ma con un casereccio, perenne, petulante spirito di rissa. L’unica cosa sulla quale sono alla fine quasi tutti d’accordo, mentre litigano, è infatti la comune antipatia (gelosia?) nei confronti delle persone più vicine al Cavaliere, quelli che tengono l’agenda del capo, le chiavi di Palazzo Grazioli e il cellulare: Niccolò Ghedini e Licia Ronzulli. Ma chissà. In tutti c’è una sorta di amoroso terrore per Silvio Berlusconi. L’assenza del suo corpo incombe.