Il fallimento di Salvini è sulla giustizia
Siri e gli arresti a Milano. Salvini si occupa di gogna solo quando la gogna si occupa della Lega e il suo essere complice del circo mediatico ha peggiorato lo stato della giustizia, legittimando gli sciacallaggi grillini. Il salvinismo spiegato ai liberali all’amatriciana
La Commissione europea ha ricordato ieri all’Italia, mostrando dati impietosi sulla crescita, sul debito, sul deficit e sull’occupazione, che il principale problema del governo populista riguarda il brusco cambiamento registrato dal nostro paese sul terreno dell’economia. Il Consiglio dei ministri di oggi, al centro del quale ci sarà ancora il tema delle dimissioni del sottosegretario Armando Siri, avrà il compito di ricordare all’Italia che accanto alle ferite economiche, sempre più profonde e sempre più preoccupanti, ce ne sono altre, altrettanto pericolose, che riguardano un tema di fronte al quale il fallimento politico di Matteo Salvini è tanto rotondo quanto clamoroso. Quel tema, naturalmente, riguarda la giustizia ma è un tema legato al caso Siri più per quello che rappresenta che per quello che è.
In modo del tutto superficiale, i liberali all’amatriciana, quelli convinti cioè che Matteo Salvini sia il nipote illegittimo di Alcide De Gasperi e di Margaret Thatcher, potrebbero dire, teorizzare e pensare che all’interno del governo, di fronte alla richiesta di dimissioni presentata a Siri da parte di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, vi sia una battaglia all’ultimo sangue tra giustizialismi grillini e garantismi leghisti. In realtà, le discussioni intorno al caso del sottosegretario indagato e gli schiaffi mollati a Matteo Salvini da parte di Conte e Di Maio ci ricordano che in questa legislatura il leader leghista ha scelto di interessarsi al tema della giustizia – facendo sfoggio di tutto il suo grottesco, contraddittorio e surreale garantismo – solo nei casi in cui i riflettori della giustizia si sono accesi su un qualche leghista. E’ successo con le indagini sul caso Diciotti, quando sotto i riflettori è finito Matteo Salvini, ed è successo con l’indagine su Armando Siri – e solo il tempo ci dirà se ha ragione oppure no il nostro Adriano Sofri quando si chiede se il Salvini che proclama che non ci si dimette se non dopo una condanna stia difendendo il passato e il presente che assediano Siri o l’eventuale contesto futuro in cui dovesse toccare anche a lui la stessa sorte del suo sottosegretario. Nel resto della legislatura, il leader leghista ha accettato senza battere ciglio (a) di avere al governo un Guardasigilli deciso a mettere in cantiere una controriforma della giustizia finalizzata a eliminare ogni provvedimento capace di porre un filtro tra le intercettazioni usate per indagare e le intercettazioni usate per sputtanare, (b) di approvare una riforma dell’anticorruzione che a partire dal 1° gennaio del 2020 eliminerà i tempi della prescrizione a partire dal primo grado, (c) di disinteressarsi del tutto a fare quello che aveva promesso quando aveva accettato di votare a favore della riforma della prescrizione, ovvero lavorare per approvare una riforma complessiva della giustizia finalizzata a ridurre i tempi dei processi entro la fine del 2019.
Nel corso dei primi undici mesi di legislatura, Salvini ha dunque scelto di occuparsi di giustizia solo quando la giustizia si è in qualche modo occupata di lui (e la giustizia con lui, al contrario di quanto sostiene Salvini, è stata molto giusta, e avere ottant’anni di tempo per restituire 49 milioni di euro è una condizione difficile da avere anche nelle migliori banche di San Marino). Ma aver trasformato la difesa della giustizia giusta in un valore negoziabile, in una merce di scambio come le altre, implica alcuni corollari che non si legano solo alla decisione di mostrare indifferenza nei confronti della lotta contro le derive del populismo penale, contro le violazioni dello stato di diritto, contro il principio della presunzione di colpevolezza. E’ una decisione che mostra qualcosa di ancora più grave. Da un lato mostra una propensione naturale a far maturare le condizioni giuste per far sì che i processi che si svolgono nelle aule di un tribunale contino meno di quelli che si svolgono sulle prime pagine dei giornali. Dall’altro, porta a considerare normale l’idea di poter governare con un partito che usa le indagini dei magistrati come strumenti di propaganda elettorale. Vale quando si parla del caso Siri ma vale anche quando si parla per esempio del caso Lombardia. Ieri, come sapete, su richiesta della procura di Milano, il giudice Raffaella Mascarino ha disposto 43 misure cautelari nell’ambito di un’inchiesta su due gruppi criminali operativi tra Milano e Varese. Tra gli arrestati ci sono anche il consigliere comunale di Milano Pietro Tatarella, candidato di Forza Italia alle europee, e il sottosegretario azzurro della regione Lombardia Fabio Altitonante. Poche ore dopo gli arresti, poco prima di un’incredibile conferenza stampa convocata da Luigi Di Maio per speculare sull’indagine, il sottosegretario grillino Stefano Buffagni ha detto che in Lombardia sono stati “arrestati gli amici di Salvini”, dando in qualche modo la conferma che il problema del leader della Lega con la giustizia non riguarda solo le indagini con cui si ritrova a fare i conti il suo partito. Riguarda prima di tutto un principio che il Truce continuerà ad alimentare rimanendo a fianco al governo di un partito che non ha altra identità se non quella di conquistare voti giocando con gli orrori del circo mediatico-giudiziario.