Tangentopoli chi?
I tic retorici dell’inchiesta non scuotono il governo lombardo. Ma Fontana è furioso e FI colpita duro
Milano. Che cosa sta accadendo nei palazzi della politica di Lombardia, dopo l’iniziativa della magistratura che martedì ha prodotto 43 ordinanze di custodia cautelare, tra imprenditori e politici del centrodestra, in un nuovo capitolo della saga della corruzione?
Gli arresti hanno azzoppato Forza Italia, colpendo due dei suoi giovani politici più di spicco. E ora l’inchiesta tocca anche il presidente della regione. Chi lo ha incontrato lo racconta furioso, Attilio Fontana, anzi sfiorato dal dubbio di mollare. Il primo giorno figurava come parte lesa, ma col sospetto di non aver denunciato un tentativo di corruzione. Il fatto che un avvocato e amministratore esperto come Fontana non avesse sentito puzza di marcio, dovrebbe forse far riflettere sulla consistenza della faccenda. Ma ora si trova indagato per abuso d’ufficio per una consulenza affidata da una struttura regionale a un suo ex socio di studio, roba da poche migliaia di euro (lordi) l’anno. Il governo lombardo non subirà scossoni, ma il clima generale si ammorba. Il gip Raffaella Mascarino ha scritto che “si assiste a uno scenario di bassissima valenza sociale” riferendosi in modo negativo a “un certo modo lombardo di fare sistema”.
Nessuno ha mai chiesto alla magistratura un parere sul “modo lombardo di fare sistema”: il giudizio compete ai politici, e agli elettori. Ma la retorica di Tangentopoli è un brutto tic. Davanti a ipotesi corruttive anche di basso livello – o si tratta, almeno in alcuni casi, di attività di lobbying, settore colpevolmente mai regolamentato? – gli editorialisti, ripetendo le parole di Di Maio, rispolverano la retorica dei “ventisette anni da Tangentopoli”. Evitando di dire (o evitando di sapere) che il sistema dei partiti della Prima Repubblica non c’è più. E se c’è sono rimasti gli spiccioli – almeno in una regione in cui l’amministrazione funziona, suvvia. Ci vuole altro per abbattere Palazzo Lombardia. Salvini non ha interesse a scossoni punitivi contro Forza Italia (ora tanto meno, c’è di mezzo Fontana). Il giustizialismo del M5s a Milano non ha peso, e il M5s non ha carte in regola, dopo i pasticci di Roma. Si può godere lo scalpo di Siri, e tant’è.