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Salvini, la Lega e la magistratura

Giuliano Ferrara

Far battere il tamburo della politica italiana da un pool di giudici non è meno pericoloso delle gesta del Truce

Gira la voce che il Truce sia nel mirino della magistratura. Più di quello che si vede a occhio nudo. Non solo quel tal Siri, caso misterioso di autodifesa impotente e reticente, o quell’Arata, oppure il Fontana, il brusio serpentino dei nomi dice “Varese” o “Giorgetti” o vattelapesca. La Lega, in versione lombarda o nazionalsovranista, è pur sempre oggi il più vecchio partito italiano, ha rateizzato il debituccio dei 49 milioni, d’accordo, ma non ha una lira, come si dice, e dispone di una classe dirigente politica e amministrativa, di governo, di nominati, di consulenti, che dappertutto ha le mani in pasta, qualunque cosa quest’espressione voglia dire. Intorno ai leghisti domina quella che il nostro romanziere preferito, Lodovico Festa, ha nominato “la confusione morale”, un intreccio di giustizia buona e cattiva e politica buona e cattiva. Fatto sta che un Truce apparentemente invulnerabile, omaggiato e sondaggiato, è vulnerabile, e i salotti propalatori lo danno per uno in bilico, che rischia grosso. 

   

Con Craxi in senso assoluto, con Berlusconi relativo, con Renzi e famiglia in altre forme ancora, fatto sta che da trent’anni circa il tamburo della politica italiana lo batte la mano di un magistrato o di un pool, di un’orchestra di detective e magistrati dell’accusa penale. E’ un ritmo percussivo che non ha previsto pause. I magistrati soli al comando contro politici soli al comando. Nonostante ogni compromesso, e malgrado il fatto che nessuno abbia davvero neanche minacciato di riformare la giustizia rimettendo in vigore la divisione dei poteri, ecco che a ogni svolta, appena in una direzione o nell’altra qualcuno tira fuori il capino e intraprende l’avventura del comando politico, comunque la si voglia giudicare, un altro comando si fa vivo di contrappasso, preme, condiziona, occupa lo spazio del consenso e costruisce in quattro e quattr’otto la pietra di inciampo, sia mafia o corruzione, sia abuso peculativo o traffico di influenza, c’è luogo alle interpretazioni, ai distinguo, varianti per tutto quello che volete, ma la sostanza è che indagini, processi, avvicinamenti a cerchi magici la fanno da padroni. Le attività delittuose pullulano, certo, ma è vistosa la tendenza a farne lo strumento di repulisti politici. Dopo trent’anni, il paese non è bonificato, la magistratura ha fallito il suo scopo istituzionale, ma è quello il suo scopo, la bonifica? 

     

Se sia vero che un cappio sul nuovo padroncino si vada stringendo, e che un graduale ridimensionamento o una brusca caduta siano alle viste, c’è un problema. Il Truce è stato abbastanza votato un anno fa e forse sarà molto votato fra qualche settimana, eppure nessun voto può legittimare comizi dal balcone, divise abusive, sequestri di striscioni e telefonini, rampogne su carta intestata della polizia di stato, blitz demagogici di ogni genere, un linguaggio operativo da trivio antistituzionale. Il cumulo della funzione di capopartito e di ministro dell’Interno si è rivelato un’arma formidabile, una tribuna bassamente deicisionista che incanta i gonzi a palate, e un inceppo nel funzionamento della democrazia e delle garanzie costituzionali: il Truce ha assunto proditoriamente il volto dello stato, comiziando dal Viminale invece di governare con le cautele della carica, e così lo stato ha assunto un volto truce. Allora uno dovrebbe dire: benedetto chi viene nel nome del Signore costituzionale, viva i magistrati che stringono la corda al collo. Ma trent’anni sono tanti. Sono un’epoca intera, dieci più del fascismo, quasi venti più del nazismo. E’ accettabile, se la prognosi infausta per il nuovo potere solo al comando sia giusta, che per un periodo così lungo, scavando nel profondo e sconvolgendo forme e sostanza di una democrazia repubblicana, il potere o l’ordine giudiziario sforzi un paese intero a saltabeccare da una forma repubblicana all’altra, da un regime all’altro, con le intercettazioni i pedinamenti, le conferenze stampa e le informazioni di garanzia? Il filtro parlamentare dell’articolo 68 non c’è più, l’amnistia non c’è più, resiste solo il potere dell’accusa, salvo che nel noto caso del tribunale dei ministri. Va bene che certi trucismi hanno il contrappasso che si meritano, va bene che una parte degli italiani sventolerebbe le bandierine di gusto per la caduta di un demagogo minaccioso e tracotante, ma quella garrota che colpisce dovunque, comunque e sempre e sistematicamente, non è una truceria alla stessa stregua delle gesta del Truce?

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.