Matteo Salvini (foto LaPresse)

E' l'ora di un populismo buono

Claudio Cerasa

Striscioni che fanno più notizia delle opposizioni. Cosa rischia l’Italia se gli unici politici che parlano in modo appassionante d’Europa sono i nemici dell’Europa? I rischi della politica della paura e il ventre molle più pericoloso delle fake news

Sir Winston Churchill sosteneva che la forza di un politico fosse direttamente collegata all’animosità provocata tra i suoi oppositori: più un politico riesce a provocare una qualche reazione, positiva o negativa, di amore o di odio, di gioia o di rabbia, e più quel politico avrà le potenzialità per incidere nel dibattito pubblico. La frase di Churchill può essere utile oggi perché ci permette di ragionare intorno a un tema che riguarda quattro storie apparentemente distanti l’una dall’altra: lo striscione antisalviniano fatto rimuovere ieri dai Vigili del fuoco in provincia di Bergamo, la formidabile selfie guerriglia organizzata in giro per l’Italia dagli oppositori del Truce, le ventitré pagine specializzate in fake news fatte chiudere due giorni fa da Facebook e il principale guaio dell’opposizione al sovranismo a dodici giorni dalle elezioni Europee. La questione è sempre la stessa: come si fa a colpire nel segno e come si fa a combattere il ventre molle dell’Italia?

 

Per affrontare il tema senza retorica, la domanda giusta da cui partire è quella offerta qualche giorno fa su el País da una brava opinionista spagnola di nome Máriam Martínez-Bascuñán: per quale ragione gli unici politici che riescono a parlare in modo appassionante d’Europa oggi sono i nemici dell’Europa? Rispetto alle prossime Europee, la giornalista del País non propone scenari apocalittici a riguardo dei possibili risultati, ma invita semplicemente a riflettere su un punto che più che politico è culturale: bisogna rendersi conto che per combattere gli avversari non basta scommettere sulle paure ma tocca scommettere sui sogni, vincendo prima di tutto la sfida del nuovo linguaggio politico. Per tutti coloro che l’Europa la vogliono cambiare e non semplicemente smontare, vincere la sfida del nuovo linguaggio della politica, senza far leva sulla grammatica della paura, significa riuscire a esporre le proprie idee senza illudersi che sia sufficiente stare dalla parte della ragione per dimostrare di avere ragione. I populisti anti europei raccontano un sacco di balle ma riescono a raccontarle facendo quello che gli anti populisti non riescono a fare: colpiscono nel segno, suscitano emozioni, provocano reazioni, generano interesse, offrono un altro mondo possibile.

 

Uno dei motivi per cui in giro per l’Europa l’onda lunga del populismo riesce in molti paesi a far presa su una fetta minoritaria ma consistente di elettori è legata a una particolare difficoltà incontrata dagli avversari del nazionalismo: riuscire a spostare l’attenzione dai punti chiave dall’agenda sovranista. George Lakoff, famoso linguista e scienziato cognitivo, anni fa scrisse un saggio convincente (“Non pensare all’elefante”, appena ripubblicato da Chiarelettere) sulla necessità delle forze di opposizione di riprendersi il discorso politico uscendo dai frame imposti dagli avversari. Il discorso valeva un tempo, quando si parlava della difficoltà incontrate dai democratici ai tempi di George W. Bush, e vale oggi quando si parla delle difficoltà incontrate dalle forze europeiste di fronte alle forze anti europeiste. Uscire dal frame del nazionalismo con idee capaci di essere qualcosa di diverso dal dire soltanto no a ciò che propone l’avversario dovrebbe essere una priorità per tutti coloro che ogni giorno tentano di opporsi al populismo sovranista (l’abuso della politica dell’“anti” di solito è direttamente proporzionale alla incapacità di costruire una propria identità).

 

E in questo senso, per tornare in Italia, la storia dei profili specializzati in fake news chiusi da Facebook dovrebbe forse suscitare attenzione non solo per ragionare sui possibili mandanti delle bufale (metà degli account chiusi diffondeva messaggi di sostegno a Lega e M5s) ma anche per ragionare sui motivi che rendono influenzabili così tanti elettori (ogni giorno i post degli account chiusi arrivavano a circa 2,46 milioni di utenti). Il problema è evidente: prima ancora di occuparsi di chi diffonde bufale, e le bufale di solito non fanno cambiare idea a chi le riceve ma rafforzano le proprie convinzioni, non varrebbe la pena capire per quale motivo alcune bufale fanno presa sugli elettori?

 

In questo senso, l’Europa sembra interessare più agli ultras che ai nemici degli ultras (anche se le prossime elezioni potrebbero regalarci qualche sorpresa) non perché i nemici degli ultras non combattono a favore dell’Europa ma perché lo fanno in un modo che non provoca, che non suscita emozioni, che non smuove il ventre molle del paese – pensate a quante volte l’opposizione ha detto che Salvini e Di Maio sbagliano, e pensate poi a una sola iniziativa dell’opposizione che abbia fatto notizia negli ultimi mesi. Per questo – e qui arriviamo alle altre piccole storie segnalate all’inizio del nostro articolo – fa più notizia uno striscione tolto da un balcone che un’intervista a un segretario di un partito d’opposizione, fa più notizia una resistenza combattuta a colpi di striscioni che una conferenza stampa di un qualsiasi partito d’opposizione, fa più notizia la disobbedienza di un cardinale che una qualsiasi iniziativa di un’alternativa parlamentare. In un’epoca straordinaria, un’opposizione ordinata non dovrebbe limitarsi a fare un’opposizione ordinaria, a fare il fact checking delle balle degli avversari, a fare no no con la politica del ditino ma dovrebbe rompere gli schemi, dovrebbe far sognare, dovrebbe provocare, dovrebbe togliersi il grigio di dosso e dovrebbe persino disubbidire: non solo dicendo le cose giuste da fare ma facendo anche le cose giuste per poter trasformare le proprie idee in immagini non sfocate. Nell’ultimo anno, l’Italia ha fatto notizia per il suo populismo becero. Sarebbe il caso di trovare un modo per fare notizia mettendo in campo quello che forse manca al nostro paese: un’opposizione non ordinaria, forse persino un populismo buono.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.