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Lezioni spagnole per l'autonomia italiana

La riforma voluta da Lombardia e Veneto, per ora, è finita del pantano del governo gialloverde. Il modello Spagna può essere un esempio da seguire?

Per Matteo Salvini quella dell'autonomia è una bandiera che non può essere ammainata. Non solo perché è una bandiera di Lombardia e Veneto, regioni governate dalla Lega. Ma, soprattutto, perché la chiedono le piccole e medie imprese del nord e i cittadini che, dopo essersi espressi attraverso il referendum, potrebbero sfogare nel voto per le prossime elezioni europee la loro delusione per la promessa mancata. 

    

Il M5s, però, vede la cosa un po' diversamente. E da alcuni giorni ha iniziato a lanciare segnali poco incoraggianti per l'alleato di governo. “L'autonomia così com'è spacca l'Italia in due – ha sottolineato Luigi Di Maio – Non credo che la vogliano neanche i cittadini lombardi e veneti”. Il risultato, quindi, come capita spesso quando si parla della maggioranza gialloverde è un pantano politico dal quale, forse, si uscirà solo dopo le elezioni europee. Mercoledì, sul Foglio, abbiamo parlato del 7° Rapporto dell’Osservatorio economico Cna Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. E tra i dati contenuti nell'analisi, uno su tutti spicca particolarmente: le tre regioni italiane sono tra le prime in Europa per valore delle esportazioni, ma tra le ultime per investimenti destinati allo sviluppo economico. Il confronto con i tre Länder tedeschi del Baden-Württemberg, della Baviera e del NordReno-Vestfalia, e con le Comunità autonome spagnole di Catalogna, Paesi Baschi e Comunità Valenciana, è a dir poco impietoso.

     

Marco Bolognini è nato a Venezia ma da diversi anni si è trasferito in Spagna dove ha fondato lo studio Maio Legal, svolge l'attività di avvocato d'affari ed è editorialista del quotidiano politico ed economico Expansión. Per questo conosce bene pregi e difetti del sistema spagnolo delle autonomie. “Anzitutto – dice al Foglio – va ricordata l'origine storica del modello spagnolo. Finito il regime franchista i padri fondatori, o meglio 'rifondatori' della democrazia, si trovarono davanti a un paese disgregato. Localismi molto radicati e comunità che, durante il regime, avevano subito anche delle ritorsioni. La loro esigenza, quindi, era di tenere tutti insieme garantendo, però, una certa autonomia a queste comunità. Alcune, quindi, ottennero degli Statuti speciali, che a loro volta non sono tutti uguali. Catalogna e Paesi Baschi, ad esempio, non hanno lo stesso livello di autonomia e i secondi, a differenza dei primi, hanno la piena competenza sulla gestione del gettito tributario. Questo modello, che ha funzionato molto bene fino alla crisi economica del 2008, ha evidentemente degli aspetti positivi rispetto al regionalismo italiano”.

     

Per esempio? “La gestione del gettito fiscale (tutto o in parte) che, all'interno di un quadro di regole generali di stabilità finanziaria fissato dal governo di Madrid, può essere utilizzato per finanziare infrastrutture o fornire incentivi alle imprese. C'è anche l'autonomia di intervenire sulle aliquote fiscali e sulla tassazione. In Andalusia, ad esempio, le tasse sull'eredità sono altissime anche se ultimamente sono state abbassate. A Madrid, invece, non c'è alcuna tassazione. Inoltre le Regioni posso decidere di utilizzare altre fonti di reddito per ridurre la pressione fiscale. In sintesi le Comunità autonome hanno un loro dinamismo nel gestire le forme di fiscalità e sono in concorrenza per attrarre investimenti”.

    

E dov'è che il sistema non ha funzionato? “Sicuramente, come dicevo prima, i problemi hanno iniziato a emergere con la crisi che ha duramente colpito la Spagna. Ma io credo che ci siano due elementi, di natura più politica, che hanno influito. Il primo è la devolution voluta anche dal governo Aznar che ha affidato alle Regioni la competenza praticamente esclusiva del sistema educativo. La seconda è l'esistenza di polizie regionali. Ecco, secondo me, favorire un'autonomia di 'natura economica' affidando alle Regioni la gestione del proprio gettito fiscale è utile e positivo. Se il processo, invece, ha anche caratteri culturali e politici, alla lunga, state sicuri che si creeranno dei problemi”.

         

Parole che ricordano quelle affidate da Carlo Cottarelli al Foglio: “L’idea generale è che un maggior decentramento della spesa e della tassazione va bene, nel senso che rende più vicini la spesa e i cittadini quindi rende più vicine le risorse per finanziare quella spesa, cioè le tasse, appunto alla spesa stessa. Questo deve avvenire tenendo conto che siamo uno stato nazionale, quindi rimangono dei vincoli per cose che devono essere fatte al centro, come l’esercito, il sistema giustizia, il sistema educativo, dei minimi standard sulla sanità”.

     

Certo i dubbi non mancano. Non c'è il rischio, come denuncia il M5s, che con l'autonomia si spacchi in due l'Italia? “Anche in Spagna – riprende Bolognini – ci sono Regioni che stanno meglio e Regioni che stanno peggio. Ma posso dire che lì dove si dà alle Comunità la possibilità di gestire direttamente le risorse, i risultati si vedono. Il sistema sanitario, ad esempio, funziona bene. Sia nelle strutture completamente pubbliche, sia in quelle che i governi locali hanno affidato alla gestione di società private. E poi non dimentichiamo la possibilità di investire direttamente nella creazione e nella gestione delle infrastrutture. Un altro aspetto fondamentale per creare crescita e lavoro”. Insomma il modello dell'autonomia, stando almeno alla lezione spagnola, con l'economia che continua a crescere, può essere una strada da percorrere. Anche per attrarre investimenti dall'estero.

       

“Nell'ultimo anno e mezzo – conclude Bolognini – abbiamo assistito a un'impennata delle richieste di imprese italiane interessate a investire in Spagna e anche di un'immigrazione italiana di buon livello. Abbiamo richieste per consulenze sia da parte di industrie sia da parte di persone che si muovono nel campo della finanza. Questo accade perché la Spagna è un paese dove è particolarmente facile fare affari, ma anche perché rappresentiamo uno ponte verso l'America Latina. Al contrario, non vedo una voglia particolare da parte delle imprese spagnole di sbarcare in Italia”. Sarà un caso?