Tutte le vere apprensioni di Zingaretti, pacioso di ferro, sono dentro il Pd
L'altolà di Renzi (mai accordi con il M5s), l'obiettivo non dichiarato del 25 per cento alle Europee e il caso Umbria
E’ vero, per ora sta abbastanza in disparte. E, almeno ufficialmente, non proferisce una parola contro l’attuale dirigenza del Partito democratico. Ma Matteo Renzi non ha di certo rinunciato alla politica attiva. L’ex presidente del Consiglio sogna ancora la sua “rivincita”. Già, non ha ancora scordato il suo recente sfortunato passato. Come dimostra il tweet con cui martedì ha voluto rendere omaggio allo scomparso Niki Lauda: "Quando ce la fai sono tutti con te, quando perdi hai tutti contro. In mezzo non c’è niente". Una frase del pilota che però ha per Renzi un amaro sapore autobiografico. Il che, come si diceva, non gli fa disperare di ripartire.
E al quartier generale di Zingaretti hanno le antenne dritte. Infatti genera qualche apprensione. L’ex presidente del Consiglio è formalmente molto corretto nei confronti del suo partito, e questo gli viene ora riconosciuto dai vertici del Pd, ma i suoi lasciano intendere che l’idea di dare vita a un nuovo soggetto politico non è stata ancora abbandonata. Anche per questo la nuova maggioranza del Pd tifa per le elezioni anticipate, che consentirebbero a Zingaretti di far eleggere più parlamentari suoi che renderebbero complicato il varo di un nuovo partito renziano. Ma Renzi e i suoi potrebbero dare del filo da torcere a Zingaretti anche nel caso in cui restino nel Partito democratico. Lo si è capito ieri.
L’ex presidente del Consiglio era a Milano per un’iniziativa elettorale con Carlo Calenda. E in quella sede Renzi ha posto a Zingaretti (pur senza esplicitare alcunché) il suo altolà: mai accordi con il Movimento cinque stelle. Né in questa legislatura (ma su questo sono tutti d’accordo, inclusi gli attuali vertici del Pd), né nella prossima. Certo, in futuro l’ex premier avrà una pattuglia parlamentare più ridotta rispetto all’attuale. Ma comunque avrà pur sempre un po’ di senatori e deputati. Senza contare i componenti dell’Assemblea nazionale e della Direzione. Qualsiasi manovra di avvicinamento nei confronti dei grillini, anche nella prossima legislatura, potrebbe quindi portare all’esplosione del Partito democratico. Zingaretti, che è uomo avveduto e prudente, lo sa e per questa ragione si sta muovendo con la massima cautela.
In vista delle elezioni Europee, al Pd si vive tra apprensione, speranze e sospetti. Al Nazareno non si esclude di riuscire a raggiungere addirittura quota 25 per cento ma per scaramanzia non lo si dice, lo si sussurra senz’altro. Questa speranza non elimina però il timore che, nel caso le cose vadano male e il partito non raggiunga il 20 per cento riparta la guerra intestina. E’ chiaro che attribuire a Zingaretti, segretario da pochi mesi e dopo un periodo molto travagliato per il Nazareno, la responsabilità di un risultato non eccellente sarebbe una forzatura, ma la verità è che dentro il Pd le tensioni non si sono mai sopite. Per fare un esempio, i renziani del tandem Lorenzo Guerini-Luca Lotti non hanno ancora digerito il fatto che non ci sarà una segreteria unitaria e che Andrea Orlando farà il vice segretario. Sono convinti di essere ancora maggioranza nei due gruppi parlamentari di Camera e Senato e vorrebbero un riconoscimento, nel senso che vorrebbero un vice loro. Non disperano di riuscire ancora ad ottenerlo anche se si sono accorti che il pacioso Zingaretti è meno malleabile di quanto credessero.
Alla fine Catiuscia Marini si è dimessa. Al Nazareno, quelli che la conoscono bene e ieri ci hanno parlato prima della sua ennesima giravolta, raccontano che non sono stati certo gli appelli del partito a convincerla e nemmeno la sconfessione duplice di Nicola Zingaretti e Paolo Gentiloni. A spingere la presidente della regione Umbria a compiere questo passo sarebbe stata la censura di Repubblica. Marini non ha avuto la forza di andare avanti senza l’appoggio, anzi con l’ostracismo, del giornale del centrosinistra per eccellenza.