Elogio dell'euro Cav.
Ha un’idea su ogni cosa, alleanze, America, Cina, Russia, e alla fine è l’unico che parla di Europa
Ottantadue anni, convalescente dopo un’operazione chirurgica che avrebbe messo ko chiunque altro, Silvio Berlusconi è appena uscito da un ospedale e però sembra l’unico sano in circolazione. Ci sono le elezioni europee? E lui è d’Europa che parla, mentre tutt’intorno a lui la campagna elettorale sembra una fiera dei matti. C’è quello che se ne va in giro straparlando della “nuova Tangentopoli emergenza del paese”, che sostiene i gilet gialli ma si descrive moderato, che dice di essere l’ago della bilancia in Europa ma è talmente spaesato che si allea con i punkabbestia della Polonia. C’è poi quell’altro che invece manda lividi bacioni alla Merkel, e tra un mitra e un peluche propone di risolvere i problemi italiani alleandosi con tutti i paesi europei che non vogliono aiutare l’Italia. C’è persino il muto di sinistra, quello che parla ma sembra non dire mai nulla, e infine c’è lui: il Cavaliere, appunto.
Lui fa cucù in televisione, su Twitter e su Facebook – “sono ancora io” – e ha un’idea su ogni cosa, sulle alleanze e le prospettive, sul problema strategico cinese, sull’America e la Russia. Vuole persino collegare i moderati del Partito popolare europeo ai sovranisti, idea che potrà anche non piacere, ma è un parlar chiaro senza buttare la palla in tribuna. Sicché l’impolitico, non solo incrollabile ma impeccabile, sembra oggi il più compassato e visionario degli statisti. Sorridente e ottimista tra le rughe di cui è diventato orgoglioso, fermo nella sua dignità di sopravvissuto, sembra combattere scandalizzato ma non rassegnato una guerra impossibile alle pernacchie e alle fetecchie, agli spasmi violenti e alle inerzie di sasso, agli sgrammaticati telebanditori e ai piazzisti di pentole e tappeti. Ha passato la vita a lamentarsi dei partitini e dei piccoli alleati riottosi, dei rentier democristiani alla Casini, fino a Umberto Bossi e a Gianfranco Fini, e adesso si riadatta con elasticità di ragazzino a giocare lui il ruolo di partner minore. Voleva il bipolarismo maggioritario, adesso invece cerca con naturalezza d’istrione uno spazietto politico, una dimensione da sistema proporzionale, tra le corazzate del populismo strapotente. Così, mentre i più giovani Salvini e Di Maio suonano sempre le stesse note senza distinguere tra elezioni amministrative, nazionali o europee, ingessati come sono in un unico e sclerotico registro composto di vitalizi e immigrati, ruspe e manette, ecco che il più flessibile è lui. Esce con la testa al vento e la solita espressione birichina a sfidar la sorte maligna, incontro all’amore fuggevole degli elettori, tentatore e deludente.
Le bastonate degli anni non sono valse a togliergli una pellicola d’innocenza che lo protegge, come la buccia d’un frutto, e si mischia nei suoi atti a un’aria di ludica malinconia. Lo si poteva osservare, martedì sera, da Giovanni Floris, su La7, mentre riusciva a destare persino tenerezza. Perché pur essendo consapevole dell’importanza della sua immagine, Berlusconi riconosceva davanti al pubblico l’importanza attuale e storica d’individuare un’alternativa carismatica. Come dire: “Io vorrei lasciare sinceramente e per me stesso. Ma non lo posso fare”. Sincero bugiardo, padrone della scena. Quando Floris gli tende la mano, e fa per congedarlo, lui gliela afferra, la trattiene – “Già finita?” – e subito ricomincia a parlare, riempiendo ancora lo schermo. Sempre con quella maschera che ormai sfida le malattie, l’età, gli inciampi, eppure non nasconde l’anima ribalda che sopravvive autentica, quella sì, sempre uguale a se stessa come gli italiani. Con quel volto color terracotta sul quale si accanisce il giornalismo più volgare. E in realtà verrebbe da pensare che il Cavaliere, infinito e riadattabile, sia oggi più incredibile di quanto non lo fosse nel 1994.