Il patriottismo europeo è diventato un atto rivoluzionario
Votare per l’Europa è votare contro un nuovo pol. corr. che avanza nel segno di pulsioni post-democratiche: non poco
Niente da aggiungere, forse, a quanto scrive Laurent Joffrin su Libération. Le elezioni del Parlamento di Strasburgo non cambieranno il corso delle cose nei paesi che votano, non oltre una certa misura, quella del supersondaggio. Si può votare per un centro di stabilizzazione, i popolari (Forza Italia qui, con la riserva dell’alleanza presunta con Salvini e la simpatia personale per il vecchio Cav.), o per i conservatori, o per un centro d’impulso e modernizzazione, i macronisti (beati loro che possono). Oppure per i Verdi oppure per i liberali (beati loro eccetera). Oppure per le sinistre costituzionali più o meno attive nelle politiche europeiste e sicure dal punto di vista liberaldemocratico (in Italia il Pd). Meno utile disperdere il voto in piccole formazioni irrilevanti, per quanto rispettabili e benestanti. Per il gusto horror ci sono gli arrembanti nazionalisti e demolitori di vario conio dell’Unione europea. Finirà con una coalizione di governo parlamentare e di potere, a Strasburgo e a Bruxelles, imperniata sul non più sufficiente asse di ieri, popolari e socialdemocratici. Fine corsa.
Da noi, nello specifico, si può cercare di contenere la prepotenza di un Truce che usa il ministero dell’Interno per i suoi scopi di agitatore inconcludente, e per adesso prende colpi solo dagli sberleffi selfiecentrati e da qualche numero azzeccato di Calenda; dare una ridimensionata al nucleo di spinta della svolta antiparlamentare, i grillini; e sopra tutto colpire un governo che razzola nei diritti acquisiti dei pensionati, coltiva le sue clientele all’insegna del non lavoro, con il debito di cittadinanza, rovina i fondamentali dell’economia e della società italiana impregnandola di lassismi, fanfaronate, costose burle, tutte cose per cui i novissimi mostrano decisamente una generosa competenza. Forse è un po’ presto per l’hangover, la sbornia non è passata ancora, siamo alle prime avvisaglie dei postumi, e un governo che realizza un programma demagogico occupando tutti gli spazi o quasi è un governo a suo modo forte, non autorevole ma prepotente.
L’Unione europea non funziona o funziona male, perché non è mai stato facile convergere usciti che si era da un ciclo bisecolare di guerre sanguinose e di furie nazionalistiche, sebbene sia vero, assodato, che la sua presenza equilibrante, non solo sul piano monetario, l’euro, ha portato elementi di riforma e rassicurazione infinitamente maggiori di quelli che si percepiscono. Sebbene sia chiaro che nel mondo di Trump, Putin, Xi, Bolsonaro, Erdogan e altri vari è l’ultimo progetto potabile di democrazia rappresentativa. E che proprio per questo è sotto schiaffo, l’ostacolo da abbattere, una risorsa decisiva per gli interessi comuni e per gli interessi nazionali dei suoi membri, una sempre più fragile speranza di saggezza e di riforme, di pace e di prosperità, altro che banche, Soros, rosario sbandierato, prima qui prima là, e altri vaneggiamenti. In fondo votare per l’Europa è un voto a dispetto, un consenso e anche un dissenso per fortificare l’opposizione all’andazzo prevalente, al nuovo politicamente corretto che s’avanza nel segno di pulsioni autoritarie, razziste e come si dice oggi post democratiche. Non poco.
Equilibri istituzionali