Le mani di Salvini sulla Difesa, mentre cresce il partito “Giorgetti premier”
Tra la Trenta il vicepremier leghista restano distanze enormi in tema di scelte politiche e industriali. E si apre una nuova partita per la nomina del capo di stato maggiore della Marina
Roma. La versione ufficiale vuole che di rimpasto manco si parli. “Roba da Prima Repubblica che non c’interessa”, dice, liquidatorio, Giancarlo Giorgetti, che in cuor suo confida ancora di riuscire a convincere Matteo Salvini della necessità di far saltare il tavolo dopo il voto di domenica, e sempre più va convincendo se stesso dell’opportunità di assumersi – ma a patto che il tutto passi per nuove elezioni da tenersi a fine settembre – la responsabilità di fare il premier. E però, anche ammesso che il leader della Lega si decida a rompere, all’indomani del 26 maggio, non è detto che ci riesca. E allora ecco che delle correzioni si renderanno indispensabili per salvare il salvabile, per provare a rianimare questo agonizzante governo grilloleghista.
Forse anche per questo, da qualche settimana, Salvini risponde secco, a chi gli chiede di un possibile rimpasto, che un problema in effetti c’è. “Cambiare un ministro? Sento tanti militari che vorrebbero un ministro della Difesa più vicino alle Forze Armate”, ha dichiarato lunedì scorso a “Quarta Repubblica”. E certo c’entra la baruffa continua sulla questione dei barconi, in questa dichiarata ostilità del capo del Viminale nei confronti di Elisabetta Trenta. Ma in verità è soprattutto altro, a suggerire come imprescindibile, al segretario del Carroccio, un avvicendamento al ministero della Difesa. Innanzitutto c’è una questione di carattere geopolitico: dopo avere molto ammiccato al suo idolo Vladimir Putin, Salvini ha capito che il suo futuro politico dipende inevitabilmente dall’instaurazione di buone relazioni con la diplomazia di Washington. Per gli americani la vicinanza della Trenta – e dell’università Link Campus da cui il ministro proviene – ad ambienti filorussi è assai sospetta. Senza contare, poi, un’intesa considerata ancora più pericolosa, negli uffici di Via Veneto: quella con la Cina. Ribadita non a caso martedì scorso, quando il vice grillino della Trenta, quell’Angelo Tofalo che proviene pure lui dalla Link, ha partecipato con entusiasmo all’inaugurazione romana del laboratorio di cybersecurity di Zte, il primo che il colosso di Shenzen apre in Europa. Il tutto, appena qualche giorno dopo al pranzo che l’altro sottosegretario alla Difesa, il leghista Raffaele Volpi, avrebbe avuto a Roma – stando a quanto risulta al Foglio – con l’ambasciatore americano Lewis Eisenberg: un incontro di un’ora e mezza che segna una scelta di campo diametralmente opposta rispetto a quella degli alleati grillini.
C’è poi, ormai incancrenita, una questione industriale. Da quando il M5s guida la Difesa l’intero comparto ha registrato una gelata, proprio a causa del blocco delle spese e degli investimenti decretata da Luigi Di Maio. E il risentimento di tante aziende, partecipate e non, si somma così a quello dei vertici militari, che lamentano con sempre più forza i rischi legati al mancato rinnovo di mezzi e infrastrutture. Problemi di sostanza, com’è ovvio, a cui se ne sono aggiunti anche altri di forma, nelle ultime settimane: da quando, cioè, il portavoce della Trenta, Augusto Rubei, si è trasferito in pianta pressoché stabile nel quartier generale del M5s, per dirigere la regia mediatica della campagna elettorale, e ad affiancare il ministro è stato di fatto promosso il colonnello Francesco Greco. Ne è seguita una serie inarrestabile di scivoloni mediatici, fatta di tweet pubblicati e poi frettolosamente rimossi su presunti salvataggi di “pescherecci italiani nel mirino delle motovedette libiche”, nonché di balletti scatenati in quel di Lourdes con il ministro che si cimenta in trenini insieme ai militari in uniforme. “La Trenta non si tocca”, scrivevano i grandi capi del M5s sul SacroBlog a inizio maggio, dimostrando in verità la fatica che quella difesa a oltranza gli costa, se è vero che ormai anche con Giuseppe Conte i rapporti del ministro sono assai logori, per via della nomina del nuovo capo di stato maggiore della Marina Militare. Il premier vedrerebbe bene, al posto dell’uscente Valter Girardelli, l’ammiraglio Carlo Massagli, suo consigliere militare a Palazzo Chigi che nei mesi si è guadagnato sempre più anche l’apprezzamento di Giorgetti. Motivo, forse, per cui la Trenta si oppone. Almeno per ora.