La posta in gioco alle europee sono i diritti fondamentali
I nazionalisti contraddicono i valori fondanti dell'Ue, tra cui lo stato di diritto
In vista dell’elezione del Parlamento europeo, più che in passato, si confrontano due opposte visioni dell’Europa. Esse divergono in più punti, tra cui la protezione dei diritti fondamentali. Per mettere in luce questa differenza, per comprenderne l’importanza nell’attuale contesa politica, è utile volgere lo sguardo al passato, alla più antica carta costituzionale: quella degli Stati Uniti d’America.
Subito dopo la conquista dell’indipendenza, due schieramenti si contrapposero, dapprima nella convenzione di Filadelfia, che nel 1787 approvò la Costituzione, poi negli stati che dovevano ratificarla. Da una parte, vi erano i federalisti, come James Madison e Alexander Hamilton, favorevoli alla Costituzione, e dall’altra quanti si opponevano alla sua ratifica, gli antifederalisti. Essi temevano che la Costituzione avrebbe dato luogo a un governo accentrato, il quale avrebbe limitato i poteri dei singoli Stati e avrebbe interferito indebitamente con i diritti degli individui. Per superare le loro obiezioni, Madison accettò l’idea d’integrare la Costituzione con una serie di emendamenti volti a proteggere altrettanti diritti fondamentali, primo tra tutti quello di manifestare liberamente il proprio pensiero, seguito dall’eguale protezione della legge e dal diritto a un giusto processo. Superata la fase di acuta tensione, il patto costituzionale fu completato con il Bill of Rights, che da quel momento in poi rappresentò un modello per molti riformatori in Europa e altrove.
Alla luce dell’esperienza americana, si può meglio intendere quale sia la posta in gioco oggi. Più di due secoli fa, gli antifederalisti vedevano nelle istituzioni statali un baluardo per i diritti individuali. Nell’Europa odierna, rispetto alla scelta di mettere tali diritti in primo piano, tra i valori comuni a tutti i popoli europei, non mancano posizioni di singoli paesi divergenti su specifici aspetti. Ma tali posizioni attengono al “come” tutelare quei diritti, non al “se”. Ben diverso è il caso di quei governanti nazionali che contraddicono i valori su cui l’Unione si fonda, come lo stato di diritto, imponendo l’anticipata cessazione dal servizio per alcuni magistrati e spingendosi fino al punto estremo d’impedire la pubblicazione di alcune sentenze della Corte costituzionale, come è accaduto in Polonia. L’autonomia delle corti costituzionali rispetto al potere politico rappresenta la condizione di effettività dei diritti fondamentali, mancando la quale l’intero sistema delle libertà si sfalda, con ripercussioni profonde non solo per alcuni, ma per tutti. Lo schema della “democrazia illiberale” è, insomma, antitetico all’Europa dei diritti, quale si è realizzata a partire dal 1950.
Ed è uno schema che risente evidentemente del ritorno del nazionalismo: non a caso, i leader politici che si rifiutano di rispondere del proprio operato alle istituzioni sovranazionali non esitano a sottrarsi agli obblighi di solidarietà nei confronti dei partner europei, nel campo dell’immigrazione e in altri, proprio mentre godono i benefici economici derivanti dall’appartenenza all’Unione. È un comportamento opportunistico, che pone a rischio l’obiettivo d’una duratura, pacifica e proficua cooperazione tra i popoli europei. È bene che ne siano consapevoli, oltre ai responsabili politici dei partiti, tutti i cittadini.