Regionali e amministrative, la tomba del Chiappendino e del M5s
A Firenze Nardella argine del Lungarno, Renzi lo propone come modello contro la nuova “ditta” di Zingaretti. A Livorno e in Piemonte i grillini si sfracellano
Roma. La Lega supera il 34 per cento a livello nazionale, in Piemonte porta il centrodestra alla vittoria contro Sergio Chiamparino, in Toscana è il secondo partito con il 31,48 per cento e nelle altre (ex) regioni rosse primeggia ovunque (in Umbria al 38,18, nella Marche al 37,98, in Emilia al 33,77), ma Matteo Renzi è già pronto a rivendicare la primazia del renzismo sulla nuova “ditta” che governa il Pd, aprendo di fatto una nuova campagna elettorale interna al partito che ha guidato fino al 2018: “La risposta più forte alla vittoria di Salvini arriva oggi da Firenze grazie al bravissimo Dario Nardella”, ha twittato il senatore di Scandicci, facendo capire che se c’è un Pd tutt’ora vincente è il suo. Resta da capire se il Nardella argine del Lungarno possa essere davvero un modello valido per tutta l’Italia oppure se quella fiorentina non sia semplicemente la ridotta renziana, in una città che fu di Giorgio La Pira e che con il leghismo, specie quello mal declinato dal candidato sindaco Ubaldo Bocci, ha poco a che fare.
Di sicuro è un (nuovo) messaggio per Nicola Zingaretti & co., alle prese con la necessaria riorganizzazione del partito. Ne sembra essere persuaso anche Nardella, che ha ricevuto i complimenti del neosegretario e ha presentato Firenze come “un vero modello politico e istituzionale nazionale”. C’è chi invita però alla cautela, ed è Andrea Orlando: “Non c’è da festeggiare ma ci sono le condizioni per combattere”, dice al Foglio il vicesegretario del Pd. “E’ un passo in avanti per niente scontato sulla base del quale c’è da fare un lavoro di riorganizzazione del messaggio. Dobbiamo occuparci di un partito frammentato, molto conflittuale a livello locale, dove abbiamo fatto fatica a fare la campagna elettorale; tuttavia, queste elezioni potevano essere quelle del cedimento strutturale invece permettono la ripartenza e hanno degli elementi univoci da affrontare. Andiamo meglio nelle grandi città che nei piccoli centri, nel centro nord che al sud”.
Il Pd è primo a Milano e Roma, ma per capire qualcosa di più del risultato locale, oltre quindi le europee, bisogna analizzare il voto a Torino e in Piemonte, dove è stato sconfitto il “Chiappendino”, che qualcuno avrebbe voluto proporre come modello nazionale (la corrispondenza d’amorosi sensi fra Pd e Cinque stelle). Il governatore uscente Chiamparino ha ceduto il passo ad Alberto Cirio. Il Pd a Torino ha preso il 34,78 per cento in centro alle regionali e il 40 alle europee ma la Lega ha conquistato le periferie: il 37,16 per cento nella circoscrizione 6 (Barriera di Milano, Regio Parco, Barca, Bertolla, Falchera, Rebaudengo, Villaretto) alle europee e il 36,19 alle regionali. Il centrosinistra ha vinto solo in provincia di Torino, altrove – da Cuneo ad Asti, da Alessandria a Biella – è un tutto un trionfo leghista. Ancor più significativo è il brutto risultato del M5s a Torino, la città di Chiara Appendino (l’altro corno del Chiappendino, appunto), dove i Democratici in tutta la città ha preso il 30 per cento. “Un risultato che premia la linea politica del Pd cittadino che ha lavorato sugli errori commessi che ci avevano fatto perdere nel 2016”, dice Stefano Lo Russo, capogruppo del Pd in consiglio comunale e politicamente ostile al Chiappendino. Alle amministrative del 2016, il M5s aveva preso 107.680 voti, l’anno scorso alle Politiche 105.133. Quest’anno alle europee i voti si sono dimezzati: 52.803. Secondo un’analisi del Centro italiano studi elettorali (Cise), a Torino “la Lega pesca da centrodestra e M5s (che non cede nulla al Pd)”. Segno che per il Pd la strada per recuperare i voti perduti dal partito di Luigi Di Maio è ancora lunga e che la Lega ha più capacità espansiva del partito di Zingaretti, dove qualche teorico dell’accordo fra M5s e Pd dovrà rivedere i conti dopo la disfatta del Chiappendino.
Nel gioco di equilibri e di linee di frattura (come quella centro-periferia ma anche anywhere-somewhere introdotta dal politologo David Goodhart), così come di possibili modelli alternativi, non si può non tenere conto di quanto accaduto a Livorno. Nel 2014 la città fu conquistata dal M5s, uno shock per il centrosinistra che aveva sempre governato. Dopo cinque anni, il partito di Di Maio è fuori dal ballottaggio e a sfidarsi saranno centrosinistra (in vantaggio) e centrodestra. Il ballottaggio in passato non ha portato bene al Pd. Nel 2014 infatti era avanti al primo turno ma poi perse la sfida contro il M5s guidato dall’allora candidato sindaco Filippo Nogarin, che stavolta – visto come buttava – ha preferito scappare dalla città per candidarsi a Bruxelles nella circoscrizione dell’Italia centrale (non un risultato brillante: a Livorno ha preso appena 1.936 preferenze e dovrebbe essere anche rimasto fuori dal Parlamento europeo). Dunque se fra due settimane il centrosinistra livornese dovesse vincere le elezioni, si potrebbe parlare anche di modello Livorno per il centrosinistra oppure, come dimostra anche il caso Torino, la questione è che una volta che hai conosciuto i Cinque stelle poi li eviti?