Il Pd offre sponde alla Lega per un asse europeo contro l'irrilevanza dell'Italia
De Micheli, Orlando, Tinagli, Bonafè, Delrio e Rosato ci spiegano cosa deve proporre Salvini per avere un commissario che conti
Roma. “Non faremo mai come loro, che votarono contro Mogherini commissario europeo”, dice Simona Bonafè, quarantacinque anni, del Pd, rieletta al Parlamento europeo con 168.588 preferenze. E nella complicata partita che inizierà a fine luglio per la definizione dei nuovi commissari europei, il governo, o meglio Matteo Salvini, se saprà giocarsela bene, considerata l’irrilevanza della Lega e delle forze sovraniste negli equilibri europei, potrebbe trovare nel Pd l’alleato necessario, il mezzo per evitare che l’irrilevanza sovranista danneggi l’intero paese. Il suggerimento di una collaborazione per la bandiera, lanciato ieri dal Foglio, viene adesso raccolto anche dai vicesegretari del Pd, Paola De Micheli e Andrea Orlando, che ne hanno discusso con Nicola Zingaretti. “Un tempo, sulle questioni importanti maggioranza e minoranza si davano reciproco affidamento su persone di alto profilo”, dice De Micheli. “Si può tornare a quell’epoca. Sarebbe un bene. Ma questo significa che il governo deve cambiare completamente approccio”. E Orlando: “Se individuano una figura di qualità, cioè una persona che rappresenta al meglio l’Italia, è evidente che siamo disposti a interloquire. Purtroppo, fin qui, l’atteggiamento del governo è stato di un altro tipo”. Ci vorrebbe una svolta, insomma. Un cambio di paradigma che tuttavia la situazione europea prescriverebbe visto che l’Italia ha già perso il presidente del Parlamento di Bruxelles, Antonio Tajani, e perderà, nel giro di qualche mese, il presidente della Bce Mario Draghi. Il rischio irrilevanza è dietro l’angolo.
La questione è seria, e un po’ ricorda l’isolamento rischiato dall’Italia nel 1994, quando il consesso internazionale aveva forti pregiudizi sul governo che Silvio Berlusconi, a Roma, aveva formato con Gianfranco Fini e il Movimento sociale, ancora sospettato di simpatie fasciste. Berlusconi tagliò il nodo proponendo in Europa due personalità inattaccabili, accreditate, di straordinaria competenza: Mario Monti ed Emma Bonino. Oggi la situazione è persino peggiore. Le forze sovraniste non sono soltanto sospettate di simpatizzare per versioni “illiberali” della democrazia, ma sono dei paria, al di fuori dei rapporti politici che in base all’esito delle elezioni di domenica scorsa regolano la distribuzione degli incarichi delicatissimi con i quali si governerà la macchia europea nei prossimi cinque anni. Oltre a Draghi e Tajani, di cui si è detto, l’Italia perde anche l’Alto rappresentante per la politica estera, e molto probabilmente perderà una serie di figure intermedie ma decisive come vicepresidenti e presidenti di commissioni parlamentari a Bruxelles. La tutela dell’interesse nazionale adesso prescriverebbe dunque per il padrone della scena, cioè per Matteo Salvini, il ricorso all’intelligenza diplomatica e politica: contattare il Pd, che sta nel Pse. Lavorare per la bandiera. “Noi facciamo il tifo per l’Italia”, dice allora Ettore Rosato, vicepresidente democratico della Camera, confermando questa disponibilità dell’opposizione a venire incontro alla Lega, a Salvini e al governo. “Se la candidatura proposta dal governo aiuterà il nostro paese, perché individuerà il nome di una persona autorevole e capace, allora faremo tutto il possibile per assecondarla. Considerato che il nostro governo ha pochi alleati in Europa deve decidere Salvini se fare l’interesse dell’Italia e coinvolgere tutte le forze parlamentari oppure isolarsi e probabilmente ottenere un risultato molto più modesto”.
I tempi sono abbastanza lunghi. E questo non è un male. Se soltanto volesse, Salvini, muovendosi adesso, avrebbe tutto l’agio di tessere una trama politica efficace. Il numero di Zingaretti ce l’ha. Persone che conoscono i meccanismi europei, pure. Le scadenze sono già fissate. Salvo sorprese il 2 luglio il Parlamento europeo eleggerà il suo nuovo presidente, poi il 16 sarà il turno del presidente della Commissione, e infine – a settembre – arriveranno le nomine dei commissari. L’Italia com’è noto non giocherà la partita principale, quella per la presidenza della Commissione europea, che è già cominciata ieri, ma dovrà cercare di non farsi indebolire troppo nella successiva nomina dei commissari. E il Pd, che della maggioranza europea fa parte, può trovare le entrature che mancano a Salvini per via del suo isolamento fin qui ricercato a suon di insulti e polemiche. La mano è tesa come dice anche il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio, l’ex ministro: “L’interesse dell’Italia, se garantito in special modo da figure autorevoli, viene sempre prima degli interessi di parte”. Adesso a queste parole la Lega potrà opporre il silenzio, una pernacchia, o in alternativa potrebbe prenderle sul serio.
Ma cosa c’è alla portata dell’Italia? Quali sono gli incarichi ai quali si potrebbe ambire facendo un lavoro di squadra? La Lega, prima delle elezioni europee, quando ancora si fantasticava di una straordinaria avanzata del sovranismo continentale, puntava addirittura alla presidenza della commissione e in subordine all’Ecofin, cioè alla guida dell’Economia europea. Due ipotesi ormai impossibili. Rimangono allora gli incarichi di seconda fascia, utili ma non precisamente centrali, come l’Agricoltura. Oppure due poltrone ambiziose: il commissario alla Concorrenza (che tuttavia deve essere una figura particolarmente autonoma sotto il profilo dell’identità politica) e il commissario al Commercio internazionale (che certamente non potrà essere uno di quei leghisti che per esempio hanno sparato a palle incatenate contro il Ceta, il trattato di libero scambio con il Canada). E insomma c’è la debolezza italiana, sovranista, ma c’è anche un problema di profilo. Che personalità è in grado di esprimere la coalizione di governo? “Fino a ora tutte le figure chiave che la Lega ha proposto non solo in teoria per l’Europa ma anche negli incarichi italiani erano soltanto degli sbrigliati portatori di slogan”, dice Irene Tinagli, neoeletta a Bruxelles, e donna record delle preferenze nel nord Italia per il Pd. “Anche quando hanno avuto la possibilità di incidere in ruoli importanti è finita con la sistematica promozione di figure di mero sfondamento propagandistico: Borghi, Bagnai, Foa…”, insiste Tinagli. I precedenti sono noti. E non fanno ben sperare. E infatti è per questo che tra i vertici del Pd, nella segreteria di Zingaretti, si parla di una auspicabile e necessaria inversione a U. “Prima ancora di pensare a un nome bisogna capire qual è l’atteggiamento del governo”, dice il vicesegretario Orlando. Possibile?