Roberto Fico al rapporto sullo stato sociale del 2019 (Foto LaPresse)

Di Maio e la bolla Fico. Ragioni per cui non esiste un altro grillismo

Marianna Rizzini

Essere o non essere, il dilemma del dissidente un po’ muto e un po’ pensoso 

Roma. Essere o non essere, questo è il problema, tanto più se si è Roberto Fico, presidente della Camera, ex presidente della Vigilanza Rai, ex membro del Direttorio (meccanismo pre partitico a Cinque stelle durato non a lungo, e ora forse in procinto di essere ricostituito sotto altre spoglie). Essere o non essere Roberto Fico, dunque: Fico l’elemento di frontiera istituzionale ma anche l’esponente storico del M5s (area sinistra), dissidente un po’ muto e un po’ pensoso rispetto alla linea dimaiana o dei vertici grillini che dir si voglia.

 

Tanto più è complicato essere Roberto Fico ora che i Cinque stelle sono alleati sotto schiaffo della Lega, e non del centrosinistra presso il quale lo stesso Fico era stato inviato in fase di consultazioni, poco più di un anno fa, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella (d’altronde, durante la campagna elettorale 2018, Fico, nella sua Campania, aveva pronunciato le ultime parole famose: “Vi garantisco che mai noi saremo alleati con la Lega anche dopo il voto: siamo geneticamente diversi”). E invece. E invece dopo quelle parole fu il diluvio, considerando la situazione dalla prospettiva dell’ex fondatore di Meet Up in quel di Napoli, uno che proveniva dalla sinistra-sinistra e che, durante il primo mandato parlamentare, aveva pur sempre continuato a ribadire che lui la pensava come prima su immigrati e diritti civili, tanto per dirne una.

 

Solo che ora non si può più stare zitti come quando, alla festa a Cinque Stelle di Rimini, nel 2017, al momento dell’investitura di Luigi Di Maio candidato premier, Fico si faceva vedere a lato palco, muto e corrucciato. E quando parlava, diceva frasi passibili di interpretazione bifronte: “Di Maio è il capo della forza politica prevista dalla legge elettorale, ma non di tutta la vita del Movimento”. E poi però si era chiuso in un silenzio operoso: costruendo cioè una piccola, silente opposizione – possibile quando ancora ci si poteva sentire diversi tra uguali (“uno vale uno”, versione originaria). Ma ora che il M5s s’è fatto governativo – e con un partito di destra – qualcosa bisogna dire, specie se Di Maio viene messo sotto accusa per aver perso così tanti voti da aver prodotto un rovesciamento di proporzioni con la Lega.

 

E la cosa Fico l’ha detta: “Ho subito detto di non essere d’accordo con il lancio della votazione su Rousseau…Sono sempre stato contrario alla politica che si identifica in una sola persona”, ha scritto in un lungo post su Facebook, mezzo di espressione prediletto del presidente della Camera quando si tratti di dissentire. “Se il focus resta sulla fiducia da accordare o meno a una figura, e non sui tanti cambiamenti che invece, insieme, occorre porre in essere, non ci potrà essere alcuna evoluzione. Significa non cambiare niente. Ritengo che non si possa mettere in discussione una persona o dei temi, solo perché c’è un umore elettorale diverso nel paese”.

 

E a un certo punto è stato chiaro che l’essere Roberto Fico, in questo momento, più che comportare il dissentire da Salvini sugli argomenti sensibili (“le centosettantasette persone devono poter sbarcare, non possono più essere trattenute a bordo”, aveva detto il presidente della Camera ai tempi della nave Diciotti), comporta più che altro lo specchiarsi in un M5s che, dice Fico, deve riflettere sulla propria identità: essere o non essere un partito? Ed ecco la formulazione cui ora si aggrappa la dissidenza che non può più permettersi di essere muta: “Occorre domandarsi se diventare, anche nelle forme standard, un partito a tutti gli effetti, con le dinamiche e i limiti che abbiamo sempre ritenuto di dover superare, oppure restare ancorati a una bellissima idea di movimento. Ma questo presuppone capire insieme come continuare a sviluppare questa idea oggi, in un contesto generale per forza di cose più ampio e complesso. Questo percorso da trovare insieme non è più rinviabile”. Ed ecco che, nella non rinviabilità, il naufragare nel “chi siamo e dove andiamo” del dissidente riluttante si fa più che mai amaro.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.