Giovanni Tria e Matteo Salvini (foto LaPresse)

La lista dei sogni di Salvini, l'ira di Tria. La guerra all'Ue è una truffa

Valerio Valentini

Il vicepremier pretende che a combattere la battaglia con Bruxelles siano il ministro dell'Economia e il premier Conte. Il fantasma della patrimoniale

Roma. Siccome è troppo occupato ad affrontare, in diretta Facebook, un “gabbiano un po’ incazzoso” sui tetti del Viminale (“Sembra uno pterodattilo”), Matteo Salvini pretende che a combattere contro la Commissione europea, e anche contro l’aritmetica, siano Giuseppe Conte e Giovanni Tria. E così, troppo ansioso di andare a parlare di tutto e di niente coi suoi follower, assistito dal prode Luca Morisi che, impavido, tiene a bada il larinae furioso, intorno a mezzogiorno il vicepremier abbandona anzitempo il vertice indetto in mattinata a Palazzo Chigi per discutere di come far quadrare i conti che non quadrano. Anche perché, anziché accogliere le riserve dei tecnici del Mef, il capo della Lega rinnova la sua ossessione per la flat tax. E non appena Tria gli fa notare che no, in deficit pure quella non si può fare, allora Salvini assume l’aria di Totò che sprona i suoi tebani a “spezzare i reni a Maciste e ai suoi compagni”, a Juncker e ai suoi fratelli: insomma sì, “Armiamoci e partite, io vi seguo dopo”. Allora si alza e se ne va, lasciando i suoi uomini dei conti, Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia, a discutere ancora un po’ col ministro dell’Economia. “S’è arrabbiato, mi sa”, diranno poi, a Montecitorio, i deputati del Carroccio. “Chi? Tria? Te ce lo vedi Tria che veramente s’arrabbia?”, se la ride, scrollando le spalle, Claudio Durigon, il sottosegretario al Lavoro che, si dice, potrebbe perfino andare a sostituire Giorgetti a Palazzo Chigi, se questi davvero, come sembra, deciderà di sottrarsi al manicomio gialloverde rifugiandosi a Bruxelles.

  

  

“Sia il taglio del cuneo fiscale e sia la flat tax”, garantisce Durigon. E come? E con quali soldi? “Ci stiamo attrezzando anche per i miracoli”, rassicura. Dario Galli, sottosegretario al Mise, leghista di Tradate dai modi risoluti, la fa ancora più facile. “Quanto costerà mai, questa flat tax?”. Almeno dieci miliardi, secondo le stime che circolano a Via XX Settembre. “E che sarà mai?”, ribatte lui. “E’ l’equivalente del surplus della provincia di Varese”. E allora, ad abundantiam, oltre alla flat tax si aggiungono, nella lista dei desideri, anche il superamento del Fiscal compact, col ritorno al 3 per cento, e poi cento grandi opere pagate direttamente dalla Bce: il tutto, ovviamente, senza premurarsi né di reperire le risorse, né tanto meno di ottenere un qualche accordo politico a Bruxelles, dove del resto Salvini si guarda bene dall’andare. Lui, però, ci tiene a far sapere che “nuove tasse e nuova austerity non ne facciamo”, che “se vogliono un altro Monti, io non ci sto”: con l’aria, insomma, di quei bulli di quartiere che fuori dalla discoteca si aggrappano a un amico e minacciano il rivale tenendosene però a distanza di sicurezza: “Ringrazia il cielo che mi stanno trattenendo, sennò ti darei un sacco di botte”.

 

Un bluff a tal punto scoperto che anche i grillini presenti all’incontro di Palazzo Chigi – Luigi Di Maio, Laura Castelli e Riccardo Fraccaro – evitano di cadere nella trappola. “Non saremo certo noi a fornire a Salvini l’alibi, dicendo no”, spiega il deputato Riccardo Tucci. “La campagna elettorale è finita”, aggiunge Mattia Fantinati, sottosegretario alla Pa. “Non ha senso proporre la luna, ci vuole una politica dei piccoli passi che non indisponga l’Europa, che sia nelle corde di Conte e Tria, visto che saranno loro a condurre la negoziazione”.

 

E nel frattempo la montagna partorisce il topolino, e per attraversare il guado di una procedura per debito eccessivo che non ha precedenti nella storia europea il “governo del cambiamento” se ne esce con l’ennesima trovata da Prima Repubblica, annunciando “una serie di tavoli di lavoro operativi (spending review, tax expenditures, privatizzazioni, sud...) che saranno operativi già dalla settimana prossima”. Sta di fatto, però, che l’ansia di trovare i soldi, seppure dissimulata, è percepita anche da alcuni grillini, che non a caso, un po’ per celia e un po’ per una sorta di scrupolo preventivo, alla buvette del Senato si esercitano in un calcolo inquietante: “Quaranta miliardi, che sono il minimo per la prossima legge di Bilancio, diviso sessanta milioni, che sono gli italiani, fanno 666 euro”. L’anticristo, insomma, sotto forma di patrimoniale? Chissà. Quel che è certo è che la proposta di scudare i soldi detenuti in segreto nelle cassette di sicurezza, lanciata all’improvviso martedì sera dallo stato maggiore della Lega, sembra un primo passo lungo quel sentiero che Paolo Savona andava additando già lo scorso autunno, e cioè di utilizzare l’enorme risparmio privato degli italiani per finanziare non meglio definiti investimenti. “Tutte sciocchezze”, taglia corto Galli. “Basterà che la Bce si decida a stampare un po’ di soldi, e tutto si sistema”. Basterà? “Bisogna sempre scendere in campo per vincere, poi porti a casa quello che riesci”. Paolo Tiramani, leghista piemontese, affida il suo disincanto a un calembours: “Pero ora battagliamo. Poi, se serve, tagliamo”.