Salvini ha un problema col Veneto e col “partito dei commissari”
Il Truce invia i suoi fedelissimi a liquidare la vecchia Lega. Ma l’arrivo di un podestà straniero nella Liga sarebbe il finimondo
Roma. Il prossimo, in ordine di tempo, pare sarà quello in Emilia-Romagna. “Essendo una fase di transizione – sospira Guglielmo Golinelli, deputato bolognese della Lega – è inevitabile ricorrere a soluzioni non convenzionali”. Che, nel Carroccio, si concretizzano inevitabilmente con l’invio di un commissario in giro per l’Italia. In Emilia, la scusa sarebbero le regionali imminenti, previste tra l’autunno e l’inverno prossimi. “E allora – suggeriscono a Matteo Salvini alcuni dei suoi consiglieri – meglio farlo prima”. D’altronde, una scusa la si trova sempre, per commissariare il partito. In Sicilia, all’indomani del 4 marzo del 2018, il capo del Carroccio disse che servivano “energie nuove per accompagnare la crescita”: e così sull’isola è arrivato da Busto Arsizio Stefano Candiani, fidatissimo sottosegretario all’Interno, reduce da un altro commissariamento in Umbria. “A Salvini i nostri voti andavano bene, i nostri nomi no”, mastica amaro il messinese Carmelo Lo Monte, che da mesi rimugina il suo disagio. Così come lo fanno i colleghi calabresi, che il commissario se lo sono visti arrivare da Bergamo nella figura di Cristian Invernizzi, che ha oscurato quella del locale Domenico Furgiuele. In Basilicata, il commissario è di Novara: si chiama Marzio Liuni, e rivendica il suo successo: “Abbiamo eletto un sindaco leghista a Potenza. Vi pare poco?”.
E certo, vista così la questione sembrerebbe legata alla scarsa fiducia che Salvini nutre per i suoi dirigenti del sud: una sorta di recrudescente anti meridionalismo. E però non c’è solo questo: altrimenti non spiegherebbe la proliferazione di commissari anche al di sopra della Linea Gustav. Ma in Molise ci sono da gestire la diserzione di due consigliere regionali (poi espulse), a Terni la giunta rischia di sfaldarsi (“il cambiamento che predicava Salvini qui si è tradotto nel resuscitare i peggiori rottami degli altri partiti”, dice Emanuele Fiorini, leghista umbro dal 2014 che ha da poco stracciati la tessera) e allora tocca a Barbara Saltamartini, romana, andare a sedare i dissensi; in Trentino la faida si consuma addirittura intorno alle suppletive e all’ingombrante candidatura – poi saltata – del veterano Sergio Divina. E insomma in ogni dove, a volerlo trovare, c’è un buon motivo per inviare un fiduciario del capo “a fare quello che bisogna fare, e basta”. Per un partito che sta cambiando forma e sostanza, che cresce in modo sconsiderato senza coltivare alcuna classe dirigente sul territorio, gli spasimi sono inevitabili. E anzi, a ben vedere, il motivo dei commissariamenti è proprio questo: la transizione dal vecchio al nuovo partito. Al sud, paradossalmente, tutto è stato più facile. “Noi con Salvini” era un contenitore quasi vuoto, e dunque la sua trasformazione nel nuovo partito – Lega per Salvini premier – si sta risolvendo in maniera indolore. Dalla Toscana in su, invece, quel che resta della delenda Lega Nord è una struttura radicata, dove le resistenze alla trasformazione nel nuovo soggetto – unico su tutto il territorio nazionale – sono assai maggiori. E per questo i commissari servono, più che come risolutori di risse, come liquidatori del vecchio partito, nel mentre che si terranno i nuovi congressi regionali. E’ questo il motivo per cui i commissari devono essere, sempre, dei podestà forestieri: perché altrimenti si genererebbero dei conflitti interni in vista della scelta dei futuri segretari.
Che sia così, lo cominciano a sospettare anche i veneti del Carroccio, che venerdì erano convinti di vedere ufficializzata la nomina del loro capogruppo regionale Nicola Finco, necessaria dopo l’elezione al Parlamento europeo del segretario Toni Da Re. “E invece a Zaia serve qualcuno che faccia cadere qualche testa in vista delle prossime regionali”, spiega un deputato veneto. “E Finco non ha il polso necessario. Dovrebbe farlo Luca, il boia, ma non vuole sporcarsi le mani”. Questa, è la motivazione con cui tra Venezia e Verona provano a superare il disorientamento. Del resto, gli autonomisti fedeli a San Marco non vogliono nemmeno prenderla in considerazione l’idea di un papa straniero in Veneto: “Se Salvini nomina un commissario lombardo, qui scoppia il finimondo”. E a quel punto, i rapporti tra Zaia e Salvini – “che già ora sono nulli”, dice chi li ha visti insieme a Vicenza, il Doge e il Capitano, all’inaugurazione della Pedemontana, la scorsa settimana, e ha registrato il gelo di quell’incontro – diventerebbero un problema per tutto il partito.