Antonio Misiani (foto LaPresse)

Deficit sì, ma non così

Luciano Capone

“Il governo è al capolinea. Ma con l’Europa serve un patto per spendere bene in investimenti”. Parla Misiani

Roma. “Il governo è al capolinea, da settimane è paralizzato da divisioni e litigi su tutti i dossier. La Lega carica sulla flat tax, sapendo bene che c’è una condizione dei conti pubblici che è un ostacolo oggettivo al loro progetto, e spinge sui minibot che sono una valuta parallela illegale. E’ una questione tutta politica, Salvini vuole rompere la maggioranza e andare a elezioni anticipate”, dice al Foglio Antonio Misiani, direttore del dipartimento Economia del Pd di Nicola Zingaretti.

 

Ma neppure nel Pd mancano i litigi, Carlo Calenda ha dichiarato al Corriere che la nuova segreteria manca di persone che capiscono di economia. “Nel Pd le competenze economiche abbondano, dentro e fuori dalla segreteria. Per vincere, però, dobbiamo tutti fare gioco di squadra. Le primedonne vanno bene per la lirica, in politica stonano”. L’Italia è quasi sotto procedura d’infrazione per eccessivo debito e disavanzo. Cosa chiede di fare il Pd con l’Europa? Alzare l’Iva, tagliare la spesa oppure aumentare il deficit e andare sotto procedura? “Dovremmo proporre all’Europa un patto su un orizzonte triennale per tenere sotto controllo il debito, che è la variabile fondamentale, in modo da ottenere libertà di azione sul rilancio degli investimenti che sono cruciali per la crescita. Dovremmo puntare a una golden rule per scorporare gli investimenti. Deficit non è una brutta parola, ma per fare investimenti. Mentre è inutile se non controproducente se fatto per aumentare la spesa corrente o tagliare le tasse”. Se il Pd si oppone alla politica economica del governo ed è contro la spesa corrente in deficit, vuol dire che intende cancellare reddito di cittadinanza e quota cento? “Il reddito di cittadinanza andrebbe rivisto radicalmente – risponde il capogruppo del Pd in commissione Bilancio alla Camera –. Noi siamo per aumentare il sostegno alle famiglie numerose, eliminare i disincentivi al lavoro e rimettere al centro i comuni e il terzo settore. Insomma, vogliamo recuperare gli elementi migliori del Rei”. E sul costo? “Come ammontare complessivo ritenevamo che il raddoppio del Rei sarebbe stato sufficiente, vedremo quanto verrà speso a fine anno. Ma il punto più importante è ridisegnare il meccanismo, perché così si crea solo un circuito assistenzialistico che non aiuta le persone a uscire dalla condizione di povertà”. E su quota cento? “E’ transitoria e iniqua. Siamo per cambiare la riforma Fornero che aveva elementi oggettivi di rigidità. Il nostro obiettivo però è diverso: vogliamo aiutare ad andare in pensione prima chi ha più bisogno; disoccupati, categorie usuranti e fragili. Quota cento ha favorito i maschi e chi ha carriere continue a discapito delle donne e dei precari. Noi vogliamo un intervento strutturale di flessibilizzazione, che sia al contempo equo e sostenibile, come avevamo iniziato con l’Ape sociale”.

 

C’è quindi continuità con l’èra Renzi, anche su 80 euro e Jobs Act? “Bisogna essere pragmatici, senza rinnegare le cose buone fatte in passato ma cambiando ciò che va cambiato. Se la discussione atterra sul merito dei problemi, le divisioni si superano. Sul Jobs Act siamo per modificare ciò che non ha funzionato e per attuare le parti più innovative, come le politiche attive. E’ una posizione migliorista, così si diceva una volta”. La segreteria di Zingaretti è nata con un’apertura di Di Maio sul salario minimo. C’è dialogo? “Noi siamo a favore, ma tenendo conto della realtà italiana, che è caratterizzata da una contrattazione collettiva forte. Fissare come vuole il M5s una soglia erga omnes per legge avrebbe come unico effetto quello di far uscire molte aziende dai contratti nazionali. Bisogna invece far fare il loro lavoro alle parti sociali, tenendo conto dei livelli di produttività. Perché uno stato deve sostituirsi a sindacati e imprese e decidere per legge il salario? Il massimalismo del M5s, oltretutto, alla fine non porterà a niente, perché Salvini non vuole”. Pensa che il governo riuscirà a evitare la procedura d’infrazione? “Intanto sarebbe utile se parlasse con una voce sola. Negli ultimi giorni Borghi insiste sui minibot, i nostri patacónes; Bagnai dice che l’Europa è mafiosa e ricattatoria; l’ex ministro Savona ora in Consob teorizza che possiamo portare il debito al 200 per cento del pil; Tria e Conte vogliono scrivere lettere e dialogare. Forse dovrebbero prima mettersi d’accordo”. Come andrà a finire? “Come già accaduto con la manovra, dopo aver fatto la voce grossa andranno a Bruxelles con la coda tra le gambe sotto la pressione dei mercati. Le regole europee vanno cambiate, ma l’unico modo è negoziare in modo serio e costruire alleanze, il contrario di ciò che fa il governo”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali