La figuraccia olimpica dell'opposizione
Con le Olimpiadi invernali, si scopre coralmente che Roma non ha un Sindaco. Ma il guaio è un altro: l’Antisindaco che non esiste. Cosa ci dice dell’Italia l’incapacità di costruire una grande battaglia civile, civica, trasversale per liberare la Capitale d’Italia
Con la figuraccia olimpica, ora si scopre coralmente che Roma non ha un Sindaco se non per fare figuracce e presiedere allo sfregio monnezzaro e maleodorante della città più bella del mondo, okkei. Sarebbe stato meglio se la cosa fosse stata capita con qualche anticipo, c’è chi c’era arrivato, ma fa niente. Però il problema di Roma è che non ha un Antisindaco. Da tre anni ce n’è bisogno, da tre anni manca una figura di organizzatore e leader politico e culturale per competere con un potere municipale ridicolmente inadeguato, per combatterlo nei quartieri, nelle aziende, nelle scuole, nella pubblica amministrazione o in quel che ne resta, nei municipi decentrati, nel centro ztl e in periferia, dovunque e comunque. Come ha scritto Cassese, un’opposizione che non ha voce non è un’opposizione, e una democrazia senza opposizione è la penosa caricatura di una democrazia.
Con il gentile assist della magistratura, a Roma nasce l’esperimento, come fatto maggioritario, che ha portato al formidabile contratto di governo un anno e mezzo dopo l’elezione disgraziata di una Virginia Raggi a capo del Campidoglio, dico del Campidoglio. A Roma si è visto, con il gentile assist della sindacatura Marino, promossa da Goffredo Bettini che è lo sponsor di Zingaretti, altra incarnazione del modello Roma, che i cittadini possono essere infinocchiati in larga maggioranza dalla grottesca strategia propagandistica dell’Onestà-tà-tà. Bettini, come tutti i vecchi quadri d’apparato, non si rende conto che il momento del riposo è arrivato anche per lui, non dovrebbe continuare a lavorare nell’ombra, dovrebbe stare di più sotto l’ombrellone. Invece il Pd si procurò l’anticipo del declino nella forma del collasso, sfarinandosi appresso a un tecnico gaffeur della “medicina eccellente” che non aveva niente da dire e promuovendo al suo massimo grado di incompetenza una sindaca senza volto, senza cultura, senza uno staff, senza un partito e un blocco sociale di riferimento, circondata di gente così così.
La cosa più grave, e per questo oggi non c’è una festa della democrazia intelligente in prospettiva di una rapida liberazione dall’insensatezza oziosa al governo della Capitale, è che in questi tre anni in cui tutto è cambiato una cosa è restata uguale, l’incapacità di fare politica nel solo senso possibile di questa parola. Qualcuno avrebbe dovuto ovviamente candidarsi a sostituire la Raggi, prima di tutto nel cuore di una città impietrita dalla sua stessa balordaggine. Qualcuno avrebbe dovuto raccogliere fondi per una continua campagna di denuncia e di proposta, avrebbe dovuto agitare i veri problemi del trasporto pubblico e della raccolta rifiuti, fondare comitati, accumulare dati e formulare proposte, conoscere e far conoscere la realtà descritta ma con mezzi inadatti o imperfetti dal sito “Roma fa schifo”, avrebbe dovuto fare le pulci all’amministrazione, mostrarla nella battaglia ordinaria e straordinaria senza aspettare effimeri movimenti spontanei, anzi, sfidando la calma piatta e la rassegnazione, inventandosi nuove forme di comunicazione di massa, intessendo alleanze sociali, indicando nuove convenienze per diversi soggetti (pensate solo al famoso stadio della Roma, per dire di un segno universalmente comprensibile dalla folla goleadora), mobilitando quel che restava dei sindacati eccetera. Ci voleva ovviamente qualcuno capace di ambizione, che è la grande molla di qualsiasi politica, come dimostra di recente perfino la parabola del Truce, qualcuno convinto che la candidatura a sindaco la si conquista con il lavoro popolare, l’esposizione di una bandiera e di un programma, non aspettando il momento elettorale e tirando fuori dal cappello a cilindro il solito coniglio partitante nell’indifferenza generale. Qualcuno convinto che ne vale la pena, che si può fare, che è cosa buona e giusta, e che quando si è rigorosi e duri nell’attacco è anche possibile esercitare ritegno e fair play, se necessari e ove necessari. Diventare sindaco di Roma sulla scia di una grande battaglia civile, civica, trasversale, vuol dire coltivare un obiettivo degno della grande politica, ovvio, vuol dire fare qualcosa che in tutto il mondo sarebbe seguita con fervore, per non parlare di Casal Bruciato.
Invece tre anni sono passati e l’opposizione ha un volto ancora meno parlante di quello del potere municipale. Gli sconfitti della Raggi hanno rinunciato e si sono messi a fare altri lavori. C’è qualche bella iniziativa di buona volontà, centri sociali e comitati di quartiere hanno provato ad andare in questa direzione, ma ovviamente è mancato l’essenziale: una leadership sicura di sé, capace di aprire a tutti in un segno di movimento ma strutturando un contropotere d’opposizione significativo e visibile all’insieme della popolazione e del paese.
Non ci restano che capi come didascalie, fotine sbiadite, immagini lente di pretese opposizioni che non hanno un centro motore, un motore di spinta. E il risultato è che si parla rigorosamente del nulla, quando si parla di opposizione. Con Roma impreparata, dopo tanta incivile e perfino barbarica malagestione, a un tornante in cui si sperimenti l’alternativa, e consegnata alla rabbia, all’impotenza e alla frustrazione civica. Potevamo avere una figura o delle figure nuove, uomini e donne sperimentati in una campagna che parla di cose sensate e utili, giuste, invece una minoranza di chiacchieroni, tra cui chi scrive, è costretta a sorridere di gusto amaro vedendo la signora sindaca che fa i complimenti a Milano per le Olimpiadi invernali, “noi non ce le potevamo permettere”. Le opposizioni forse di questo disastro dovrebbero occuparsi. O no?