Sulla Sea Watch, Salvini mette in imbarazzo il governo
La linea dura del ministro dell'Interno non sta portando a risultati concreti e duraturi sull'immigrazione. Le difficoltà di Di Maio, Moavero e Conte nel sostenere il braccio di ferro contro le ong
Quanto è difficile essere il ministro degli Esteri dell’Italia ai tempi di Matteo Salvini e della sua guerra all’Ue e ai migranti. Ieri era stato il vicepremier Luigi Di Maio a dire che “se dovremo passare tutta l’estate a litigare con le ong abbiamo già perso”. Oggi invece è toccato a Enzo Moavero Milanesi, ministro competente ed europeista convinto, ammettere “quanto sia difficile essere ancora un amante dell’Europa”. Il suo imbarazzo per la gestione dello sbarco dei 42 migranti che da due settimane restano a bordo della Sea Watch 3 è andato in scena stamattina, durante la riunione delle Commissioni congiunte di Camera e Senato per gli Affari esteri ed europei. Difficile spiegare perché tutte le energie di Salvini (e di conseguenza, dell’intero governo) siano riversate sulla nave ong, sull’Olanda, la Germania, sulla capitana “sbruffoncella”, quando nella notte sono arrivati indisturbati altri 44 migranti direttamente in Sicilia.
Per sua sfortuna, a Moavero è toccata la rogna di metterci la faccia e di spiegare in Parlamento la natura di questi paradossi. Inevitabili le difficoltà del ministro palesate durante l'audizione a Palazzo Madama. “L’immigrazione è una grande incompiuta dell’Europa – ha premesso Moavero – e il germe che minaccia l’Ue è che si vada sempre più verso soluzioni interstatali”, piuttosto che verso quelle condivise. Ed ecco la prima contraddizione: “Il regolamento di Dublino di cui si parla tanto non riguarda l’immigrazione ma solo la concessione del diritto d’asilo a chi ne ha diritto”. La riforma del regolamento di Dublino, per la verità, è sempre stata considerata da tutti i paesi del Mediterraneo un passo fondamentale per una condivisione degli oneri dell’accoglienza dei migranti con gli altri stati membri (Olanda e Germania incluse). Il testo è pronto da tempo, approvato da Commissione ed Europarlamento, e aspetta solo il via libera. Ma l’ok definitivo non è mai arrivato per una chiara mancanza di volontà dei governi (e non dei “Palazzi di Bruxelles”, come invece lascia intendere il governo gialloverde). La riforma del Regolamento di Dublino non era solo uno strumento per regolare le richieste d’asilo, come ha detto oggi Moavero, ma era anche un meccanismo che imponeva una redistribuzione automatica e obbligatoria dei migranti fra tutti gli stati membri.
Con un difficile lavoro di equilibrismo, nelle scomode vesti di europeista intrappolato tra le mani dei sovranisti, Moavero ha aggiunto che “l’Ue non si è occupata di immigrazione, se non con dibattiti generali”. Ma a ben vedere è forse vero che è stata l’Italia a non essersi interessata della questione, al di là di dirette Facebook e dei post su Twitter. Durante le discussioni di questi anni al Parlamento Ue sulla riforma del sistema dei visti, sono stati proprio la Lega e il M5s prima a disertare le riunioni delle Commissioni e poi ad astenersi al momento del voto. E ancora: delle sette riunioni del Consiglio Ue dei ministri dell’Interno che si sono tenute nell’ultimo anno, tutte con il tema dell’immigrazione in agenda, Salvini ha partecipato a uno solo summit, peraltro non ufficiale. La domanda più naturale allora l'ha fatta Piero De Luca (Pd): “Non è che invece di risolvere i problemi questo governo intende invece aumentare la tensione?”. Nessuna risposta dal ministro. E poi, ancora, scena muta quando Filippo Sensi (Pd) ha ricordato le dichiarazioni di Salvini di ieri sera. “Se l’Europa non ci aiuta nemmeno questa volta io non identifico più nessuno una volta sbarcati”, aveva sbottato il ministro dell’Interno, in barba ai suoi slogan sulla “sicurezza prima di tutto”. Ma proprio mentre Moavero glissava la domanda, la portavoce della Commissione Ue, Natasha Bertaud, ha ricordato a tutti che non identificare i migranti porterebbe subito all’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Un’altra, dopo quella annunciata per lo stato dei conti pubblici.
Poco dopo l’intervento di Moavero in Parlamento, è stato il premier Giuseppe Conte a commentare il caso Sea Watch, rompendo un silenzio lungo due settimane: “La questione è nelle mani dei magistrati, non del governo”, ha detto il presidente del Consiglio. Se non fosse che è stato proprio il suo esecutivo, con i suoi decreti sicurezza, a creare i presupposti per iniziare il braccio di ferro con le ong.
Così si compie la politica estera fatta di provocazioni e guidata dal Viminale: tra l’imbarazzo dei colleghi al governo, trascinando querelle mediatiche e giuridiche, che non porteranno ad alcuna soluzione, né per i 42 migranti a bordo della Sea Watch ma nemmeno per l’Italia.