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La legislatura appesa al taglio dei parlamentari. Ma neanche M5s lo vuole

Valerio Valentini

Se il Parlamento si riducesse a 200 senatori e a 400 deputati la probabilità di un incidente che faccia saltare il governo si ridurrebbe non di poco

Roma. Succede che, visto dai corridoi del Palazzo, il mondo appaia un poco deformato, rispetto a come risulta a guardarlo da fuori. E così succede che, assai più che per le sorti dell’Ilva, della Tav e delle autonomie, in questo esordio di estate tribolata dalle baruffe di governo, l’ansia principale di deputati e senatori sia rivolta al taglio del numero dei parlamentari. “Certo, anche da quello dipendono i pronostici della legislatura”, se la ridono in questi giorni i tecnici del legislativo del M5s. Perché è evidente che, se davvero la riduzione della platea degli eletti a 200 senatori e a 400 deputati dovesse passare, a quel punto la probabilità di un incidente che faccia saltare per aria il governo si ridurrebbe non di poco, visto che sarebbero molte meno le chance di vedersi garantita una riconferma. Sarà per questo che, come si vocifera in Transatlantico, il ministro Riccardo Fraccaro sta spingendo per accelerare l’iter della riforma, che è già stata licenziata sia dal Senato sia dalla Camera ma che – com’è d’obbligo per le leggi di revisione della Costituzione – necessita di un secondo passaggio parlamentare: a Palazzo Madama dovrebbe essere votata, senza possibilità di emendamenti, a metà luglio; a Montecitorio, malgrado la fretta del M5s che voleva calendarizzarla il 9 agosto, non arriverà prima di settembre.

 

La strategia dei grillini è chiara: restare passivi fino a metà luglio, evitare di offrire a Matteo Salvini l’alibi per la rottura con l’atteggiamento del giunco che attende che passi la piena. E poi? “E poi – ragionano nel quartier generale grillino – una volta che si è chiusa la finestra elettorale di settembre, acceleriamo col taglio dei parlamentari, così la tensione si stabilizza”. Il tutto, però, vigilando sulle mosse della Lega, che proprio per gli stessi motivi potrebbe scegliere di tirarla in lungo, così da mantenere tutta intera la forza del ricatto elettorale sull’alleato. “E infatti io ritengo assai probabile – dice Mario Giarrusso, senatore del M5s – che qualcuno provi a far saltare il banco prima, così da sabotare la riforma”. Ed è in questo clima di sospetti che alcuni esponenti di governo grillini si sono allarmati nei giorni scorsi, quando il capogruppo del carroccio a Palazzo Madama, Massimiliano Romeo, in un piccolo blitz ha ottenuto che la riforma arrivi in Aula solo dopo l’esame della commissione Affari costituzionali. Il cui presidente, il leghista Stefano Borghesi, ammette che sì, “potrebbero esserci sorprese”. E infatti Luigi Vitali, senatore di quella Forza Italia che già in prima lettura aveva dato il suo voto favorevole tra non pochi mugugni, ha fatto sapere che il suo partito ha cambiato orientamento; Fratelli d’Italia per ora non si è pronunciata.

 

Segnali, evidentemente, di un certo nervosismo. “O forse di un gioco di sponda della Lega col resto del centrodestra”, malignano i grillini. In effetti per promuovere la riforma costituzionale servirà almeno la maggioranza assoluta: e al Senato arrivare a quota 161, specie d’estate, non è scontato. E certo, ci sta che, come dice Stefano Ceccanti del Pd, “questa riforma è difficile da stoppare perché hanno costruito una propaganda da cui non riescono a uscire, anche se forse vorrebbero”. E in effetti, se è vero che Salvini non accetterà di lasciare il monopolio di una battaglia anticasta a Luigi Di Maio, “è però vero anche – come spiega un senatore del Carroccio – che noi della Lega versiamo ogni mese tremila euro nelle casse del partito, che non sono propriamente floride. Per cui l’idea di raddoppiare gli introiti a Matteo potrà fare gola”. E non è un caso che l’avvertimento di Federico Fornaro, sempre scrupoloso nel suo far di conto, cominci a risuonare forte anche nelle orecchie di vari esponenti della maggioranza. “Considerando che resta in vigore una legge elettorale che è per due terzi proporzionale – spiega il deputato piemontese di LeU – nelle regioni medio-piccole il taglio del numero di senatori innalza in modo notevole le soglie di sbarramento effettive. Col 20 per cento dei voti si rischia di non eleggere un senatore in Umbria”. Il che, nei calcoli degli eletti a Cinque stelle, viene tradotto così: “Coi risultati che abbiamo fatto alle europee, finiremmo col non avere seggi neanche in Abruzzo e nelle Marche”. E chi ascoltava, tra i divanetti di Montecitorio, i discorsi allarmati di due deputati del M5s, preoccupati perché “con questa riforma, il mio collegio diventerà enorme, batterlo tutto sarà impossibile”, scommette che il malessere è molto diffuso anche tra i grillini. Certo, al Senato il voto in Aula sarà palese: difficile tradire senza venire tacciato di essere attaccato alla cadrega. “Ma in fondo – scherza Fornaro – basta anche solo un attacco di colite, non è complicato”.

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