Cultura iperstatalista
Volpe (Mibac) ci spiega la riforma super accentratrice e turbo burocratica del ministro Bonisoli
Roma. “Un caos che danneggerà tutti”. Insigne archeologo nonché presidente emerito del Consiglio superiore dei Beni culturali e paesaggistici del Mibac, Giuliano Volpe, parlando col Foglio, bolla nel modo più deciso quella riorganizzazione del ministero dei Beni e delle Attività culturali voluta dal ministro Alberto Bonisoli, che sta scatenando una tempesta tra gli esperti del settore e media. “Beni culturali, è guerra per bande. Il comando a Famiglietti e Panebianco, uomini vicini al ministro del Movimento 5 stelle. E la Lega va all’attacco: tutto da rivedere”. E’ questo il tenore dell’ultimissimo affondo di Sergio Rizzo per “Repubblica”. “Controriforma irrazionale”, la definisce in una intervista al Messaggero l’ex ministro dei Beni culturali, firmatario della precedente riforma, Dario Franceschini. Di “insostenibile leggerezza” e “ingordigia del centro” ha parlato il professore ordinario di Diritto amministrativo alla Scuola Imt Alti Studi di Lucca e presidente dell’Irpa, Lorenzo Casini. E lo stesso Volpe ha lanciato un appello contro la perdita di autonomia di tre eccellenze come la Galleria dell’Accademia di Firenze, il Museo etrusco di Villa Giulia e il Parco archeologico dell’Appia.
Secondo quando denuncia Volpe al Foglio, “si sta smantellando una riforma con dei problemi che sarebbe stato giusto affrontare e risolvere, ma che aveva una sua visione complessiva, un progetto. E si smantella apparentemente senza avere nessuna visione o progetto, salvo forse il bisogno del segretario generale del ministero di rastrellare posti di dirigente per rafforzare il segretariato generale e le strutture centrali”. Per Volpe, “il vero elemento che emerge da questa riorganizzazione è un riportare a Roma quasi tutti i poteri, mortificando le periferie che restano non solo deboli, ma vengono ulteriormente disarticolate con questi inutili segretariati interregionali pensati quasi come una sorta di Spectre del segretario generale con funzioni ispettive. I poli regionali sono disintegrati in distretti interregionali, privando le sovrintendenze di una serie di funzioni importanti. Prima fra le quali quella relativa alla dichiarazione di interesse culturale”.
Sicuro che invece non ci sia dietro una precisa ideologia? Piattaforma Rousseau, giacobinismo... “Indubbiamente è un mix tra neocentralismo iperstatalista e una visione di scarsa fiducia direi pure sulla onestà, oltre che sulle competenze dei funzionari e dei dirigenti che invece operano nei territori a contatto con le comunità, che affrontano i problemi quotidianamente della tutela del patrimonio e della sua valorizzazione. Dunque invece di potenziare come sarebbe necessario queste strutture periferiche rendendole ancora più efficienti, le si indeboliscono trasferendo ancora di più poteri sia di indirizzo, sia di controllo, sia di valutazione nelle poche mani di un super segretario generale o di un super direttore generale. Che attualmente corrispondono ai nomi di Panebianco e Famiglietti: ma le istituzioni non possono essere costruite sulle persone”.
Dopo avere lasciato passare la riforma senza obiettare, adesso la Lega sembra essersi accorta che qualcosa non torna e sta trasformando il tema in un ennesimo terreno di scontro con i 5 Stelle. Lo stesso sottosegretario Lucia Borgonzoni riconosce che la riorganizzazione del Mibac sta “suscitando un malcontento generale in tutte le categorie coinvolte” e che dunque sarebbe opportuno avviare una “revisione profonda”. D’altra parte, di fronte al centralismo neogiacobino dei 5 Stelle, la Lega chiede ampi decentramenti. “Un mix particolarmente schizofrenico”, lo giudica Volpe. Convivono “tendenze centraliste e accentratrici, con un sovrappiù di burocrazie, assieme alla richiesta delle regioni del nord affinché abbiano una autonomia tale da gestire anche le competenze dei beni culturali. Un sistema a geometria e geografia variabile, con un ministero che a quel punto si occuperebbe di fatto di 14 regioni su 20, accentrando poteri di un territorio sempre più piccolo. Mi sembra evidente che si creerebbe un problema di tipo costituzionale. Mentre avremmo bisogno di forti autonomie con un centro snello, autorevole, capace veramente di compiere una azione di indirizzo nazionale, di coordinamento e di valutazione, e poi dare grande autonomia ai territori sotto tutti i profili: quello scientifico, sopratutto sotto quello organizzativo e quello amministrativo, con un serio sistema di valutazione. Non con un centro sempre più macrocefalo e burocratico”.