L'ambasciatore del Truce
Tra Cina e America. Chi è Stefano Beltrame, il consigliere diplomatico più potente del governo
Da qualche parte lungo la Via della Seta, da qualche parte lungo la East Coast, da qualche parte in Iran, da qualche parte nel Kuwait, da qualche parte nella Germania anni Novanta, da qualche parte nei pressi del Viminale: da qualche parte Stefano Beltrame c’era. Stefano Beltrame, cioè il consigliere diplomatico di Matteo Salvini che durante il recente viaggio (di Salvini) negli Stati Uniti è stato fotografato, osservato e descritto come l’uomo che ha reso preventivamente meno accidentata la visita Oltreoceano del ministro dell’Interno e vicepremier. Primo passo indietro: nell’opera di “rimozione diffidenza” presso Washington (da ottenersi previa sottolineatura, per esempio, del fatto che il memorandum sulla Via della Seta non aveva poi tratti così vincolanti) c’erano naturalmente di mezzo la Cina, i rapporti di Salvini con la Cina e la precedente intermediazione informale in campo economico tra Roma e Pechino del sottosegretario al Mise Michele Geraci, che del potenziamento dell’intesa per così dire cordiale Italia-Cina è stato uno dei paladini. Secondo passo indietro: siamo nel giugno di un anno fa, il giugno in cui vede la luce, dopo tre mesi di tribolazione, il governo gialloverde. E fin dall’inizio è chiaro che l’aria non proprio serena dell’Est attira l’attenzione dei nuovi arrivati nei Palazzi. A neanche un mese dall’insediamento, infatti, il ministero dello Sviluppo economico costituisce la “Task force Cina”, ufficialmente creata “su impulso” del vicepresidente del Consiglio e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio e del sottosegretario Geraci. La Task force (poi ribattezzata “Task forse”) coordinata dallo stesso Geraci, con l’idea, questo dicevano almeno le dichiarazioni pubbliche iniziali, di “potenziare i rapporti fra Cina e Italia sul piano della finanza, del commercio e degli investimenti, facendo sì che l’Italia potesse posizionarsi come partner privilegiato e leader in Europa in progetti strategici quali la Belt and Road Initiative e Made in China 2025”. Intanto, dopo anni da console a Shanghai, arrivava al ministero dell’Interno Beltrame, diplomatico di lunga carriera con un’altra breve carriera alle spalle (in un’azienda privata, alla Procter&Gamble, motivo per cui c’è chi, negli ambienti contigui alla Farnesina, ne parla come di colui che nelle missioni all’estero tirava fuori periodicamente qualche piano di larvata o non larvata “politica manageriale”).
Ex console a Shanghai, ex consigliere economico a Washington, ex diplomatico a Teheran, Bonn, Kuwait
Fatto sta che nelle ultime settimane, da quando cioè Beltrame è uscito dall’ombra del parterre-feluche, nei Palazzi stessi si è intensificato il chiacchiericcio sul perché e il percome, e sul come sia giunto al Viminale in veste di consigliere diplomatico del cosiddetto “truce” Salvini – proprio Beltrame, il molto defilato (finora, così pareva) ex console a Shanghai ed ex consigliere economico all’ambasciata d’Italia a Washington ed ex vicecapo missione a Teheran. Beltrame è nato a Verona nel 1960, e cresciuto – prima, durante e dopo il terribile esame per l’accesso alla carriera diplomatica – come uomo di cultura solida ma senza vezzi intellò (a cominciare dalla vacanze: sempre in luoghi, dice un amico, “da villeggiatura italiana anni Cinquanta”). Terzo passo indietro: se è vero che Beltrame è stato per tre anni consigliere diplomatico del leghista Luca Zaia alla Regione Veneto (tra il 2010 e il 2013), è anche vero che lo stesso Beltrame è stato inviato a Shanghai da Emma Bonino, quando Bonino era ministro degli Esteri del governo Letta. E se c’è chi, oggi, vede Beltrame per nulla “leghistizzato” (della serie: un diplomatico è sempre e comunque un diplomatico, il diplomatico di destra e quello di sinistra sono più topos che realtà), c’è anche chi narra di un Beltrame che, nel passaggio tra il ruolo di console a Shanghai e quello di consigliere del ministro dell’Interno, ha perso l’aria imperscrutabile da quasi ambasciatore per assumere quella del funzionario “politico”, uomo che in qualche modo deve aderire a una linea, anche scherzosamente indossando, come narrano le leggende metropolitane di questi giorni, una felpa verde-Lega in corridoio. Sarà un caso, non sarà un caso? C’è intanto, nei Palazzi, la consapevolezza che qualcosa avrà pur sempre voluto dire il linguaggio, in parte informalmente riconducibile all’entourage di Beltrame, del paper ufficioso preparato per Salvini qualche tempo fa, in cui si parlava di “nuovi modelli di cooperazione”, e si citava “il professor Geraci” (che professore non è, ma tra Beltrame e Geraci c’è intenso scambio di idee, visibile fin dai social a suon di retweet reciproci, selfie) e “il modello cinese” come esempio su vari fronti (con tanti saluti ai diritti umani): “Tenendo conto delle dinamiche demografiche, affinché vi sia un vero sviluppo sostenibile”, si leggeva nel paper, “è necessario che l’economia cresca più intensamente della popolazione, e che aumenti quindi il reddito pro capite. Raffrontato a vari grandi paesi africani, il modello cinese è illuminante in tal senso. Come spiega il professor Michele Geraci, il miracolo economico cinese è dato da vari fattori, tra cui i primi tre per importanza sono: il controllo demografico, l’emancipazione femminile, il controllo dei flussi migratori interni”. E insomma, nel documento informale, c’era chi individuava un’ispirazione non certo terzomondista, con molte critiche alla cooperazione italiana degli anni Ottanta e Novanta e qualche considerazione non proprio in asse con la linea della precedente amministrazione: “L’aspetto demografico, e la connessa mancanza di una politica nazionale di sostegno alla famiglia, meriterebbero un lungo approfondimento…”.
E però, lungo la carriera di Beltrame, ci sono anche state influenze di area Prima Repubblica, non foss’altro perché l’ex console a Shanghai e vicecapo missione a Teheran ed ex consigliere economico a Washington ha conosciuto la Farnesina (area rapporti con il medio oriente) negli anni in cui ancora era percepibile il pensiero, l’azione e la personalità (gli insider dicono: “Forte personalità”) di Antonio Badini, ex ambasciatore ed ex consigliere diplomatico di Bettino Craxi tra il 1983 e il 1987 (con in mezzo la crisi di Sigonella). “Beltrame era uno di quelli che riusciva a tenere a bada il carattere dirompente di Badini”, dice infatti un osservatore interno agli ambienti diplomatici.
Un paper informale sulla scrivania di Salvini che parla di cooperazione in Africa e un accenno al “modello cinese”
Ma Beltrame era anche colui che, da consigliere economico all’ambasciata italiana negli Stati Uniti, tra il 2006 e il 2010, aveva contribuito a risolvere la cosiddetta “crisi del Brunello di Montalcino”. Si erano infatti a un certo punto levati scudi americani contro l’importazione del famoso vino. Poi la querelle si era risolta con un’azione coordinata tra Beltrame e il ministero italiano dell’Agricoltura, allora guidato da Luca Zaia. I produttori di vino dichiaravano cose come: “Abbiamo a che fare ancora con un quadro fatto di luci e di ombre ma quello che sembra un dato abbastanza certo è che il marchio Montalcino esce dal difficile 2009 in modo egregio. Il territorio ha affrontato per la prima volta nella sua giovane storia una crisi economica internazionale, dovendo fare i conti non con poche centinaia di migliaia di bottiglie da vendere, ma con alcuni milioni”. E insomma il ministro dell’Agricoltura, proprio in quell’occasione, rimase per così dire colpito dall’attitudine “risolvo-problemi” di Beltrame, poi chiamato, infatti, a fare da consigliere diplomatico in Veneto dopo l’elezione di Zaia a presidente. Ma non è stato Zaia l’uomo che ha spinto Beltrame verso Salvini (Salvini e Beltrame non si conoscevano personalmente prima dell’avvento al governo dei gialloverdi). Tutto riporta ancora una volta a Geraci, vero trait d’union tra i due, anche se l’entourage di Zaia ha, dice un legista del nordest, “fornito molte referenze” per il futuro consigliere diplomatico al Viminale.
Quando risolveva con Zaia, ma dall’America, la “crisi del Brunello” e q uando di Zaia diventava consigliere in Veneto
Ma l’interrogativo del “perché proprio lui” continua a tormentare gli esegeti dei giri di nomine e delle scelte strategiche in luoghi nevralgici dell’amministrazione. In Cina, infatti, c’è chi oggi descrive Beltrame come “personalità rimasta coerente” alla precedente esperienza nella casamatta della Lega in Veneto, e quindi come “alto funzionario non pencolante verso la Farnesina allora gentiloniana”, ma anche “non investito della gestione di dossier sensibili”. L’allora console Beltrame, in ogni caso, di fronte alla galassia di imprese impegnate nel business Italia-Cina, come racconta un imprenditore, dava prova di “capacità di ascolto” e di “presenza sollecita”, ma non aveva “un profilo da mago delle relazioni giocate su impercettibili segnali”. E, dice un altro conoscitore del quadro Italia-Cina, Beltrame appariva “più politico che diplomatico”. Che cosa voglia dire esattamente, nel suo caso, è oggetto di approfondimenti quotidiani nei medesimi ambienti – fino al punto che qualcuno si domanda “quanto concretamente possa influenzare la visione di Salvini”. Tuttavia non è tutta Cina quella che luccica sui tavoli di chi guarda al tandem Salvini-Beltrame. Il consigliere, infatti, conoscitore del nord Europa e in particolare della Germania, non sembrava così spaventato dall’ascesa dei partiti nazionalisti (anzi), e si mostrava molto attivo nell’organizzazione dell’incontro tra Salvini e i capi dei principali partiti sovranisti europei a Milano, circa un mese fa (incontro corredato di proteste e affissioni alle finestre dei cosiddetti “lenzuoli della libertà”). Ma questa è storia di oggi.
L’“abbattimento-diffidenza” Usa-Salvini, la Via della Seta, i rapporti con il deus ex machina Italia-Cina Michele Geraci
La storia di ieri, invece, racconta di un Beltrame che a Shanghai, a inizio mandato, alla domanda “come giudica le prime settimane del suo nuovo incarico? Come vede la Cina dal suo ruolo di Console generale a Shanghai?”, rispondeva: “Siamo consapevoli del fatto che la Cina sia una delle principali economie al mondo e che questo sia un paese assolutamente centrale per lo sviluppo anche dell’Italia… Il discorso è molto articolato. Gli americani dicono che in Cina tutto è possibile, ma nulla è facile. Sicuramente, compito delle istituzioni è fare conoscere meglio la realtà dell’Italia di oggi ai cinesi. In un mondo globale, per la distanza e per il peso relativo della nostra economia, l’impressione è che i cinesi non abbiano un’idea chiara della realtà italiana. Mentre la Germania, che ha altri numeri, e la Francia, che ha un ruolo importante sul mercato cinese, sono percepite chiaramente, noi dobbiamo ancora lavorare. Noi siamo convinti di essere molto forti, e lo siamo, ma da questa distanza è necessario fare di più”. E di più è stato fatto, ma a fine mandato Beltrame parlava in altro modo, e, a proposito della Via della Seta, metteva sul piatto “i ‘però’ che spesso sono gli stessi cinesi a mettere in risalto: la One Belt One Road deve essere nei due sensi. Noi compriamo, voi vendete. E’ quello che ci ripetono. Ma serve una reciprocità effettiva…”. Quando il memorandum con Pechino non era stato ancora firmato, l’allora console diceva: “Se parliamo di Via della Seta, noi negoziamo anche per comprare in paesi terzi, come il Pakistan. In questo la nostra esperienza diplomatica è molto utile”.
Quanto alla storia dell’altroieri, il salto sul mappamondo riporta a quando Beltrame, con una moglie (e oggi due figlie), arrivava all’ambasciata del Kuwait, negli anni complicati post guerra del Golfo. E lì, un po’ da diplomatico, un po’ da cronista, scriveva il suo primo libro: “Storia del Kuwait: gli arabi, il petrolio, l’Occidente” (ed. Cedam). Si spostava poi a Teheran (e scriveva un altro libro: “Mossadeq. L’Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della Rivoluzione islamica”). Ma è più diplomatico o più cronista?, si chiede a chi lo conosce. “Più curioso”, dice un amico, convinto che, anche nell’esperienza salviniana di Beltrame, ci sia “una buona dose di curiosità”.